L’omicidio di Alberto Giacomelli, il Giudice galantuomo ucciso per una firma contro Riina

Il giudice fu ucciso per aver confiscato terreni e case a Mazara del Vallo di proprietà di Gaetano Riina, fratello del boss di Cosa Nostra #accaddeoggi

Un uomo perbene, un galantuomo. Questo era il giudice Alberto Giacomelli. Da più di un anno aveva lasciato la toga, ma la mafia non dimentica, aspetta il momento giusto per compiere la sua vendetta. La “colpa” del magistrato, ucciso il 14 settembre 1988 a Locogrande, una contrada a pochi passi da Trapani, era stata quella di aver firmato il provvedimento di sequestro di beni a Gaetano Riina, fratello del boss Totò, considerato il mandante dell’omicidio. Era stato un delitto di «cosa nostra», anzi di «casa nostra» come lo aveva definito il Capo dei Capi durante una confidenza in cui si vantava di aver eliminato il Giudice. Giacomelli era stato ammazzato per una “questione di famiglia”, ma la strada per arrivare alla verità è stata lunga.

L’omicidio

È una mattina come tante, quella del 14 settembre 1988 e nulla lasciava immaginare quello che sarebbe accaduto in una strada di campagna che costeggia vigneti e uliveti che si affacciano sul mare cantato da Omero e Virgilio, davanti l’isola di Mozia. L’orologio aveva da poco segnato le 8.00, quando l’ex magistrato si era messo al volante della sua Fiat Panda. Di buon’ora, si era da poco lasciato alle spalle l’abitazione a Logogrande, a 15 chilometri da Trapani, quando si è ritrovato faccia a faccia con i suoi assassini. Tre colpi di pistola, una Colt calibro 38, scrivono la parola fine.

I killer lasciano il Giudice riverso per terra in pozza di sangue, con le chiavi dell’auto ancora in mano, e fuggono su una vespa di colore celeste. Dopo mezzo chilometro, abbandonano il mezzo a due ruote, infilano il casco rosso dentro un cassonetto dell’immondizia, lasciano cadere la Taurus di fabbricazione brasiliana dietro un muretto di pietra grezza e scompaiono tra una distesa di vigne basse.

Una volta ritrovato il corpo senza vita del magistrato, scattano le indagini, ma risolvere l’omicidio sembra un rompicapo. Chi poteva volere la morte di un Giudice in pensione da 15 mesi che era onesto, scrupoloso, ma non certo un magistrato d’assalto, di un uomo che viveva una vita tranquilla e non si era mai occupato di mafia? Era stato un delitto passionale, anzi no… una questione di terreni. Dopo la pensione, “U zu Bettu” – come lo chiamavano affettuosamente i trapanesi – si era ritirato in campagna per occuparsi delle terre di cui è proprietario, vigne e agrumeti di un andava fiero. Tutte le piste portarono ad un vicolo cieco.

La svolta

Sembrava un delitto dalla sorte segnata, uno di quegli omicidi che subito si archiviano e si dimenticano, ma un giovane pentito che aveva deciso di vuotare il sacco indicò la strada giusta, almeno così sembrava. Alla fine fu condannata una banda di ‘delinquenti’ della Trapani bene che aveva eliminato Giacomelli, si era detto, per ripicca. Tre anni prima, il Giudice aveva condannato uno dei suoi “assassini” a cinque anni di Carcere per associazione per delinquere e spaccio di stupefacenti. Chiuso in cella aveva maturato la vendetta, messa in pratica una volta ottenuti gli arresti domiciliari e, successivamente, la libertà provvisoria con altri balordi senza arte né parte che sbarcavano il lunario spacciavado buste di eroina. Si era anche detto che era stata la Mafia a consegnare alla Giustizia gli autori dell’omicidio del vecchio giudice in pensione perché non volevano rogne, che era stata la mafia a ‘consigliare’ al pentito di confessare. Nessuno poteva sospettare che ad uccidere Giacomelli fossero stati dei ragazzi, degli spacciatori. Nessuno…ma la banda sarà assolta e il tempo ha raccontato un’altra verità.

Il coraggio di una firma e l’ombra di Totò Riina

Ci sono voluti anni e la testimonianza di un altro pentito di calibro per capire che a firmare la condanna a morte del magistrato era stato Totò Riina, condannato in via definitiva all’ergastolo come mandante dell’omicidio. Era stata una vendetta per un’altra firma, quella con cui il Giudice aveva confiscato l’abitazione e alcuni terreni a Mazara del Vallo del fratello Gaetano e della moglie, Vita Cardinetto, applicando, tra i primi, la legge “Rognoni-La Torre”.

Giacomelli, dice il collaboratore di giustizia, è stato ammazzato per “una questione di famiglia”. Non aveva sfidato a volto aperto Cosa nostra, ma era un servitore dello Stato, un giudice all’antica che credeva nella Giustizia e quando era stato chiamato a compiere il suo dovere lo aveva fatto, senza pensare ai nomi.

Quando fu ucciso, freddato con una pallottola alla nuca, aveva 69 anni. Il suo resta l’unico caso di omicidio di un Magistrato in pensione nella storia d’Italia, ma non fu l’unico in quel tremendo 1988. Pochi giorni dopo, il 25 settembre, la Sicilia tornò a tingersi di rosso con la morte del presidente di sezione della corte d’ assise d’ appello di Palermo, Antonino Saetta e del figlio Stefano, trucidati in un agguato sulla statale Agrigento-Caltanissetta.



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