Nel 1981, Giuseppe Salvia era il vicedirettore del Carcere di Poggioreale. Ed è proprio nel penitenziario di Napoli che il responsabile del reparto di massima sicurezza incontrò Raffaele Cutolo, o’ professore, a capo della Nuova Camorra Organizzata. Un incontro che, secondo la giustizia, si trasformerà in una condanna a morte.
Era il 14 aprile, quando il vicedirettore, fu freddato da un commando mentre stava tornando a casa. Si era appena lasciato alle spalle il penitenziario, al volante della sua «Ritmo» bianca che lo avrebbe portato nel quartiere Arenella, dalla famiglia. Ma la moglie Giuseppina Troianiello e i figli Atonino e Claudio, che all’epoca avevano cinque e tre anni, lo aspetteranno invano. A casa, Giuseppe Salvia non ci arriverà mai. Dallo specchietto retrovisore aveva notato qualcosa di strano: una Giulietta di colore blu si sta avvicinando in modo sospetto, ma una manovra disperata e il tentativo di aprire lo sportello per ripararsi dai proiettili di una Colt Cobra calibro 38 special.
Quando l’orologio aveva da poco segnato le 14.00, il dottore incontrò la morte. Aveva il volto di assassini senza scrupoli che non esitano a premere il grilletto. Salvia muore sul colpo, mentre l’auto con i killer che avevano messo fine alla vita di un uomo dello Stato, una persona per bene, fugge a tutta velocità.
Ad ordinare l’omicidio, si scoprirà, era stato il boss di Ottaviano. Tra le mura di Poggioreale «non si muove foglia senza che ‘o Professore voglia».
“Lei è un detenuto come tutti gli altri”
Le indagini per cercare il movente dell’omicidio conducono fin da subito al capo della Nuova Camorra Organizzata. Qualche mese prima, rientrando dal un’udienza, il boss rifiutò la perquisizione, come imponeva il regolamento. «Dottò, cosa dobbiamo fare? Sa, noi abbiamo famiglia…» dissero gli agenti penitenziari, che temevano ripercussioni. Il vicedirettore non ci pensò due volte: uscì da suo ufficio e fece quello che andava fatto. «Lei è un detenuto come tutti gli altri», disse e perquisì personalmente il boss che, rispose, tentando di schiaffeggiarlo. Per Cutolo quel gesto non solo era una sfida, ma “sminuiva” in un certo senso la sua autorità nel penitenziario. Era il 7 novembre 1980.
Il vicedirettore conosceva bene lo spessore criminale di quel detenuto raccontato in una canzone di Fabrizio De André, probabilmente sapeva che quella perquisizione poteva costargli cara, ma il senso della giustizia è stato più forte. Il 14 aprile 1981 Salvia – che aveva tentato di rendere più umana la permanenza dei detenuti in carcere – pagò con la vita l’affronto fatto e fu ucciso in un agguato sulla tangenziale di Napoli, avvenuto all’altezza dello svincolo dell’Arenella. Aveva 38 anni.
Al suo funerale arriveranno sessantotto corone di fiori. Le avevano inviate i detenuti come segno di rispetto e di ringraziamento nei confronti di una persona che nonostante il suo ruolo, non aveva perso la sua umanità.
Raffaele Cutolo sarà condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio di Salvia. Carcere a vita anche per la sorella Rosetta che aveva ricevuto l’ordine e lo aveva ‘trasmesso’ al gruppo criminale, sei killer anche loro condannati.