La storia di Nadia Roccia, uccisa dalle amiche del cuore

Era il 14 marzo 1998, quando la studentessa Nadia Roccia fu strangolata con una sciarpa. A compiere l’omicidio sono state le sue due amiche del cuore

14 marzo 1998. Quel giorno Castelluccio dei Sauri, un borgo di poche anime in provincia di Foggia conquistò i riflettori per un caso di cronaca nera, una tragedia che ha come protagoniste tre amiche del cuore. Quel pomeriggio, apparentemente tranquillo, Nadia Roccia, una studentessa della quinta D dell’istituto magistrale, fu uccisa dalla compagna di banco, Anna Maria, che l’ha strangolata con una sciarpa. All’amica del cuore, Maria Filomena, era toccato il compito di verificare che fosse morta con uno specchietto. Non si appannava, quindi non respirava più. Era finita.

Quello della morte di Nadia Roccia non è un caso irrisolto, uno di quei faldoni finiti in un cassetto destinato ad essere dimenticato, ma la strada per arrivare all’archiviazione per omicidio non è stata facile. C’è stato prima il biglietto, in cui la studentessa spiegava i motivi che l’avevano spinta a togliersi la vita. Un suicidio perché – aveva scritto – non sopportava i pettegolezzi del paese, ma la messa in scena con la corda, una di quelle per saltare, stretta introno al collo di Nadia quando ormai non respirava più per simulare l’impiccagione non ha convinto gli uomini in divisa che hanno battuto altre piste per riscrivere il copione del suicidio di una 18enne infelice, forse perché il paese le stava stretto o forse perché non poteva vivere la sua omosessualità o quell’amore non ricambiato.

C’era stata anche l’autopsia a mettere gli investigatori sulla strada giusta. Nadia era morta per soffocamento, ma causato da un indumento. Una sciarpa, forse.

Al funerale tutto il paese piange per quella vita spezzata troppo presto, senza un perché.

La confessione

I sospetti diventano certezze quando le due amiche, senza mai mostrare un segno di pentimento, confessano l’omicidio, raccontano cosa le ha spinte ad ammazzare l’amica e a fingere che si fosse trattato di un suicidio, un inspiegabile suicidio con una lettera-testamento battuta a macchina (e firmata con uno stratagemma) in cui confessava di essersi innamorata di Anna Maria. «Mi ucciderò perché non ho il coraggio di dire alla mia famiglia che sono una lesbica innamorata della mia unica amica: tu, Anna Maria». Così si legge su un foglio. Non solo, il messaggio si conclude con la raccomandazione che i suoi risparmi vengano ereditati dalle amiche, in modo che possano realizzare il loro sogno di partire per l’America.

Un copione dell’orrore studiato nei minimi dettagli, ripassato più e più volte, come si fa prima di una interrogazione. C’era anche un piano B: Annamaria e Mariena, la prima a crollare, avevano pensato anche ad altri modi per uccidere l’amica, se il primo fosse fallito. Andò tutto come previsto, invece, in quel freddo giorno di marzo che cambiò per sempre il destino delle tre ragazze.

Prima della confessione, fu battuta anche la pista satanica, a causa delle intercettazioni in cui le due amiche, mentre si accordano sulla versione da dare, nominano spesso Lucifero.

I fatti erano chiari, Nadia Roccia è stata uccisa dalle compagne di scuola, ma qualcosa non torna. Il movente ad esempio. Le amiche diaboliche raccontano che ad ordinare il delitto, è stato il padre di Mariena, morto 17 anni prima, apparso in sogno dall’aldilà ad Anna Maria. Non tornano neppure gli orari. Castelluccio, sconvolta, resta con la domanda che si ripete come un tormento: perché?

Oggi le due non più ragazze hanno pagato il loro conto con la giustizia: hanno terminato di scontare la pena e vivono con nuova identità in Toscana e in Veneto..



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