Arrivano quattro condanne al termine del processo con rito ordinario relativo alla maxi operazione investigativa “Baia Verde” che portò il 17 luglio 2014, all’arresto di elementi criminali del Clan Padovano di Gallipoli.
I giudici della seconda sezione collegiale (presidente Cinzia Vergine) hanno inflitto la pena di 10 anni di reclusione a Luca Tomasi, 49 anni di Carpignano Salentino e Amerigo Liaci, 41enne di Gallipoli; 3 anni per Giovanni Rizzo, 54 anni di Taviano e 10 mesi a Ubaldo Luigi Leo, 58 anni di Lecce.
Invece, il pubblico ministero Alberto Santacatterina, al termine della requisitoria, aveva chiesto l’assoluzione per i primi due e la prescrizione del reato per gli altri imputati.
Sono assistiti dagli avvocati Mariangela Calò, Pantaleo Cannoletta e Luigi Suez, i quali una volta depositate le motivazioni della sentenza entro 90 giorni, potranno presentare ricorso in Appello.
Amerigo Liaci e Luca Tomasi rispondevano di associazione mafiosa, ma per quest’ultimo il reato è stato riqualificato in concorso esterno ed è stato disposto il non doversi procedere in merito al reato di detenzione abusiva di armi, per intervenuta prescrizione.
Liaci, in base a quanto emerso nelle indagini, avrebbe avuto il ruolo di prestanome per la gestione di una società che si occupava del controllo dei parcheggi a Gallipoli. Non solo, poiché avrebbe preso contatti con gli operatori commerciali per imporre loro di scegliere agenzie di sicurezza vicine al sodalizio.
Tomasi avrebbe messo la propria agenzia a disposizione del clan, per la gestione monopolistica dell’attività di sicurezza presso gli stabilimenti balneari e le discoteche dell’area gallipolina. Giovanni Rizzo, invece, rispondeva di spaccio di sostanze stupefacenti.
Infine, Ubaldo Luigi Leo era accusato di tentata violenza privata per aver minacciato un commerciante, simulando di avere con sé una pistola, affinché ritirasse la denuncia nei confronti di un suo conoscente.
Le indagini condotte dai Carabinieri del R.O.S. e del Comando Provinciale di Lecce e coordinate dal procuratore aggiunto Antonio De Donno, partirono da una violenta rapina avvenuta in una nota discoteca di Gallipoli, che secondo l’accusa fu organizzata per screditare un’agenzia investigativa napoletana con un referente gallipolino, cui era affidata la sicurezza. Gli accertamenti investigativi portarono a numerosi arresti, nell’estate di otto anni fa, come disposto dal gip Giovanni Gallo. La maggior parte degli imputati venne poi giudicata e condannata con il rito abbreviato, con le accuse, a vario titolo, di associazione a delinquere, tentata e consumata estorsione aggravata dalle modalità mafiose, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.
Secondo gli inquirenti, il sodalizio non si limitava a “taglieggiare” gli imprenditori balneari, ma arrivava ad estromettere quelli sgraditi, imponendo i propri uomini e le società controllate dagli stessi, come le agenzie di sicurezza.
Oltre alle discoteche della città bella, il controllo era esteso anche alla gestione dei parcheggi.