Costringeva la figlia minorenne a prostituirsi online. A processo con rito abbreviato insieme al presunto amante

La bambina ed il padre si sono costituiti parte civile, avanzando una maxi richiesta di risarcimento quantificata complessivamente in un milione di euro.

Sarà giudicata con il rito abbreviato una 46enne della provincia di Lecce, accusata di aver costretto la figlia minorenne a prostituirsi online con il suo presunto amante. Anche l’uomo, un 52enne milanese, verrà giudicato con lo stesso rito. I due imputati erano finiti inizialmente a processo con rito ordinario, dopo il decreto di giudizio immediato del gip Angelo Zizzari.

In seguito, i legali hanno chiesto il rito alternativo e si è giunti all’udienza odierna davanti al gup Maria Francesca Mariano. La difesa ha chiesto il rito abbreviato condizionato all’espletamento di una perizia psichiatrica per la madre della ragazza.

Il giudice ha rigettato l’istanza e i due verranno giudicati con l’abbreviato semplice, a partire dal 23 ottobre prossimo.

Rispondono dei reati (tutti aggravati) di pornografia minorile in concorso e tentata violenza sessuale. La madre della ragazzina anche di maltrattamenti in famiglia. Il 52enne, invece, è accusato di atti persecutori.

La 46enne ed il suo presunto amante sono difesi rispettivamente dagli avvocati Maria Assunta Saracino e Paolo Formato e potranno difendersi dalle accuse nel corso del dibattimento.

La bambina ed il padre, assistiti dall’avvocato Paola Scialpi, si sono costituiti, nella giornata di oggi, parte civile avanzando una maxi richiesta di risarcimento quantificata complessivamente in un milione di euro.

La ragazzina, oggi 17enne, secondo l’accusa, sarebbe stata costretta a subire le violenze da quando aveva 13 anni. Ed in base a quanto denunciato, la donna avrebbe anche somministrato al marito degli ansiolitici in modo da renderlo «inoffensivo».

Dalle indagini è emerso anche il ruolo dell’amante della donna che, in appena due mesi, avrebbe inviato alla minorenne circa 85mila messaggi su un telefono all’interno del quale era stata applicata una app che consente di attivare da remoto fotocamera e microfono del cellulare, riuscendo così a controllare ogni movimento della minore. Le accuse sono state confermate dalla giovane nel corso dell’incidente probatorio.

A far venire a galla la vicenda è stata una compagna di scuola con cui la ragazzina si era confidata.

Nel maggio scorso, entrambi sono finiti in carcere, a seguito di ordinanza del gip Anna Paola Capano, richiesta dal pm Erika Masetti ed in seguito il giudice ha rigettato la richiesta di domiciliari della difesa, per la 46enne ed il 52enne.