
30 dicembre 2006. Le lancette dell’orologio avevano da poco segnato le 6.00 quando Saddam Hussein, per 24 anni dittatore dell’Iraq, fu impiccato in uno dei centri usati dal regime per torturare i dissidenti. Una sentenza decisa il 5 novembre, in un processo da molti definito una «farsa», quando l’ex rais è stato condannato a morte per crimini contro l’umanità. Stessa sorte era toccata al fratellastro Barzan al Tikriti a capo dei servizi segreti e al numero uno del tribunale che pronunciò la condanna a morte per i 148 abitanti di Dujail, Awad al Bander. Gli altri imputati se la sono cavata con pene pesanti.
La strage di Dujail
Hussein era finito alla sbarra per la strage di Dujail, in cui morirono 148 sciiti, un massacro diventato il simbolo della violenza del dittatore, talmente spietata da non fermarsi davanti a nulla. Chiunque osasse o addirittura solo pensasse di attentare alla vita del capo dello Stato veniva punito con la morte, come era accaduto nel villaggio a pochi chilometri da Bagdad, quando il convoglio presidenziale in visita ufficiale nella cittadina fu raggiunto da una raffica di mitra. Neanche 24 ore dopo l’attentato 450 persone, tra cui numerosi anziani, donne e ragazzi poco più che bambini furono catturati. 148 non tornarono più a casa.
Saddam – noto in tutto il mondo per la sua raffinata intelligenza politica, ma anche per la cattiveria usata per raggiungere i suoi fini – aveva un sogno da quando era salito al potere, nel 1979, dopo il ritiro dell’ex presidente della Repubblica Ahmad Hasan Al Bakr: trasformare l’Iraq in un paese strategico, utilizzando un’arma vincente, il petrolio. Per questo aveva attaccato prima l’Iran (in un conflitto senza vincitori né vinti che aveva prosciugato le casse del regime) e poi il Kuwait, piccolo Stato retto dagli emiri della famiglia Al Sabah, che si arrese dopo due giorni. L’aggressione fu la scintilla che fece scoppiare la Guerra del Golfo. Scaduto l’ultimatum, con cui si invitava l’Iraq a ritirarsi dal Kuwait, il 16 gennaio cominciò la prima battaglia “in diretta TV”, la Desert Storm, “tempesta del deserto”, ultimo atto dell’operazione militare passata alla storia con il suo nome in codice, Desert Shield, “scudo nel deserto” – che lasciò dietro di sé morte e devastazione. Ne seguiranno altre, fino al conflitto denominato “Desert Fox” del 2003 – la seconda guerra del Golfo nata dal sospetto che il regime nascondesse e armi nucleari, chimiche e biologiche. Armi di distruzione di massa che, in realtà non verranno mai trovate – fa calare il sipario sul dittatore iracheno.
Restano impresse nella memoria le riprese della caduta della statua in bronzo di Piazza Al Ferdous. Poco dopo l’entrata a Baghdad delle truppe americane, al termine di un’offensiva durata 21 giorni, si nota un Marine che stropiccia la bandiera a stelle e strisce sul volto della statua, la lega e la traina con un carro armato, fino a farla cadere. Una volta a terra, la gente ha cominciato a ballare sui suoi resti. Era il 9 aprile.
La cattura e la morte
Quella mattina, il rais si mostra al mattino in giro per Baghdad, quasi un commiato dai cittadini. Il pomeriggio è già in fuga verso un nascondiglio segreto. La latitanza, durata nove mesi, è segnata dalla morte dei suoi due figli maschi Uday e Qusay, uccisi a Mosul, durante un raid americano. Il 14 dicembre 2003, l’ex Presidente viene scovato in una fattoria a Tikrit, a pochi passi dalle rive del fiume Tigri. Le immagini del dittatore sporco, con la barba lunga e ferito fanno il giro del mondo.
Il resto è storia nota, con l’impiccagione avvenuta a favor di telecamera. Le immagini degli ultimi minuti di vita del rais fanno il giro del mondo, tra le polemiche.
Poco prima di morire «aveva la paura negli occhi» racconta il consigliere iracheno per la sicurezza nazionale, Mowaffak al Rubaie. In realtà, rifiuta il cappuccio nero, accetta che gli venga poggiato del tessuto intorno al collo, lì dove la corda si stringerà, cammina a testa alta verso il patibolo e invita il suo popolo a restare unito. Sono state le sue ultime parole. Il cadavere è rimasto sulla forca dieci minuti prima che il medico legale ne constatasse il decesso, ha detto un altro testimone.
Lavato da un imam sunnita, avvolto nel sudario e deposto in una bara coperta dalla bandiera dell’Iraq, fu sepolto nella tomba di famiglia, distrutta nel corso dei combattimenti tra i miliziani dell’ISIS e le forze di sicurezza irachene. Il corpo era già stato rimosso dai fedelissimi di Saddam per portarlo al riparo e è stato riseppellito in un luogo sconosciuto.
Cosa è accaduto in Iraq dopo la morte di Saddam Hussein è una stria che stiamo ancora scrivendo.