Come sparire nel nulla a Palermo, la storia del giornalista Mauro De Mauro

Il rapimento di Mauro De Mauro, giornalista di punta del quotidiano l’Ora di Palermo, nasconde intrighi e misteri che fanno della sua scomparsa un giallo lungo mezzo secolo.

La storia di Mauro De Mauro, il giornalista scomparso nel nulla il 16 settembre 1970 non è solo un «caso irrisolto», una delle storie italiane chiuse in un cassetto e archiviate insieme alle tante domande rimaste senza risposta. Come in un rompicapo, difficile da risolvere, il nome del cronista di punta del quotidiano «L’Ora» di Palermo si lega ad altri misteri, come quello della morte di Enrico Mattei, il presidente dell’Eni scomparso in un incidente aereo il 27 ottobre 1962. A fare da sfondo ad un quadro già complicato c’è Cosa Nostra, indispettita – si è detto – dai suoi articoli.  Il Capo dei Capi, Totò Riina è l’unico finito alla sbarra per la morte del giornalista, ma ne è uscito pulito, per insufficienza di prove. E allora cosa è accaduto a De Mauro?

Il sequestro

Il mistero che sembra destinato a rimanere tale comincia la sera del 16 settembre 1970. Il cronista stava tornando a casa al volande della sua Bmw quando, a pochi passi dalla sua abitazione in via delle Magnolie, è stato portato via da alcuni uomini rimasti senza nome, sconosciuti di cui resta solo un ricordo quell’ «Amunì» pronunciato per “invitare” il giornalista a seguirli senza opporre resistenza e ascoltato dalla figlia Franca, che in compagnia del fidanzato Salvo che  doveva sposare due giorni dopo, era entrata nel palazzo nella zona residenziale di Palermo per chiamare l’ascensore.

Nessuna violenza, solo un rapido scambio di battute, il rumore delle portiere che sbattono, quello del motore che si avvia e poi, per sempre, il silenzio. L’auto fu ritrovata la mattina dopo dall’altra parte della città. Aveva ancora le chiavi inserite nel cruscotto. Da quel momento su De Mauro cala il buio. Non si saprà più nulla di lui, non si conoscerà mai il motivo del sequestro, non saranno mai scoperti i responsabili. Cosa sia accaduto dopo resta nel campo delle ipotesi. Misteri, bugie e depistaggi non hanno aiutato nella ricerca della verità, a dare alla famiglia un corpo da piangere o una tomba dove portare un fiore.

Le piste seguite: «la chiave è il delitto Mattei»

Sapere se lo uccisero subito o se lo tennero prigioniero, se lo interrogarono o lo picchiarono, sarebbe già un passo avanti per ricostruire gli ultimi istanti di vita del giornalista, portato via sotto casa da alcuni uomini a volto scoperto, davanti agli occhi della figlia che solo per poco non li veda in faccia. De Mauro stava indagando sulla morte del presidente dell’Eni Enrico Mattei su richiesta del regista Francesco Rosi che gli aveva chiesto di scrivere una sceneggiatura per un film. «Incidente», tragico ma un incidente. Così fu archiviata la scomparsa del numero uno dell’Ente. Ci sono voluti anni per capire che fu ammazzato in un attentato «senza mandanti». Quelle ombre scure che si perdono in una notte piovosa del 1962 finirono per travolgere anche il giornalista che con la sua proverbiale precisione aveva ricostruito gli ultimi giorni di Mattei in Sicilia, imbattendosi forse in verità che gli sarebbero costate la vita.

Ucciso perché sapeva del golpe

Ho uno scoop che farà tremare l’Italia” aveva confidato, anche se qualcuno ha legato questa frase al tentato golpe Borghese del dicembre 1970. Facendo le domande giuste, alle persone sbagliate era venuto a sapere del piano che il principe nero Junio Valerio Borghese stava preparando con l’aiuto dei boss siciliani e coinvolgendo Cosa Nostra. La soffiata dei suoi ex compagni si era trasformata in una condanna a morte.
Che sia uno o l’altro scoop, una cosa è certa. I rapitori hanno agito tradendo una certa fretta e, se vogliamo, imprudenza. Questo dimostrerebbe urgenza di far sparire il giornalista subito, forse perché aveva scoperto qualcosa di veramente “scottante”.

Si seguì anche la pista del sequestro come punizione per aver ficcato il naso con le sue inchieste nel traffico di sostanze stupefacenti. Conosceva a perfezione il territorio e conosceva la mafia, ne controllava i movimenti, tanto che se sentiva il suono della sirena di un’ambulanza o dei carabinieri montava in macchina per vedere dove fosse diretta. Era l’unico giornalista ad avere accesso alla casa di Serafina Battaglia, famosa in tutta Italia per aver accusato nella Sicilia degli anni Sessanta Vincenzo Rimi, il boss di Alcamo, di avere assassinato suo marito.

Per decenni investigatori, giornalisti e storici si sono chiesti quali scoperte potesse aver effettuato il giornalista per meritare una fine così atroce. Alla fine, il caso De Mauro è finito in archivio, ma resta uno dei più misteriosi gialli palermitani, una trama che si intrecciata con tanti altri affaire italiani. Basti pensare che tutti è tre gli uomini in divisa che indagarono sulla sua scomparsa (il capitano Giuseppe Russo, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa e il commissario Boris Giuliano) morirono, uccisi dalla Mafia.



In questo articolo: