4 agosto 1974, il giorno della strage ‘dimenticata’ del treno Italicus

La “strage dimenticata”, è stata ribattezzata così da alcuni storici la tragedia avvenuta il 4 agosto 1974 sul treno Italicus. Con quelle 12 vite spezzate, resta ancora oggi impunita

4 agosto 1974. L’orologio aveva da poco segnato l’1:23, quando una bomba nascosta in una valigetta ‘abbandonata’ sotto un sedile della quinta carrozza del treno espresso 1486 “Italicus” esplose provocando 12 morti. Alcuni persero la vita a causa dell’ordigno, altri per l’incendio divampato quando mancavano 50 metri all’uscita della Galleria dell’Appennino, non lontano dalla stazione di San Benedetto Val di Sambro.

Un bilancio che avrebbe potuto contare centinaia di vittime se la bomba fosse esplosa all’orario stabilito dagli attentatori. Il convoglio, come spesso accade d’estate, aveva accumulato 23 minuti di ritardo, risparmiando così numerose vite. Si scoprirà che anche Aldo Moro avrebbe dovuto prendere il treno per raggiungere la famiglia in vacanza in Trentino, ma un impegno improvviso lo “salvò”. Scelse di sacrificarsi, invece, il ferroviere Silver Sirotti che all’epoca aveva 25 anni. Era sopravvissuto all’esplosione, ma non esitò a risalire sulla carrozza in fiamme con un estintore per aiutare i passeggeri.

La rivendicazione

Il 5 agosto 1974 in una cabina telefonica a Bologna fu rinvenuto un volantino a firma di Ordine Nero che rivendicava l’attentato. «Giancarlo Esposti (un estremista di destra, ucciso nel 1974 da un carabiniere durante una fuga) è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l’autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti», si legge.

Non era stato il primo. C’era stato il dramma di piazza del 12 dicembre 1969 e la strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974. E non sarà l’ultimo. Ci sarebbe stata la strage di Bologna del 2 agosto 1980 e quella del Rapido 904 che costò la vita a 16 persone e ne ferì 267.

Le indagini

L’autore del manifesto, così come delle telefonate anonime al Resto del Carlino non restò senza nome. Era stato Italo Bono, un personaggio legato all’estrema destra a Bologna, ma poco considerato nell’ambiente e con problemi psichici evidenti. Qualche giorno dopo, il 9 agosto, sul tavolo della Questura di Roma arriva la testimonianza di Rosa Marotta, titolare di una ricevitoria del Lotto di via Aureliana. La donna avrebbe ascoltato, qualche giorno prima della strage, la telefonata fatta da una ragazza nel suo locale, riguardante un attentato: «Le bombe sono pronte… da Bologna c’è il treno per Mestre, là trovi la macchina per passare il confine… stai tranquillo… i passaporti sono pronti…». Anche lei non rimarrà sconosciuta a lungo, si trattava di Claudia Ajello una collaboratrice del Sid che lavova in un ufficio del Servizio segreto in via Aureliana.

La ragazza, interrogata dal Pm, negò di aver parlato di bombe e che la telefonata era rivolta alla madre in partenza per un viaggio che prevedeva il trasferimento da Roma a Mestre in treno. La Ajello fornisce però versioni contrastanti con quelle dei suoi superiori del Servizio segreto, anche riguardo al motivo dell’utilizzo di un telefono pubblico invece dell’apparecchio presente nell’ufficio del Sid. Verrà rinviata a giudizio per falsa testimonianza.

I processi

La svolta arriva la sera 15 dicembre 1975. Tre detenuti – Aurelio Fianchini, Felice D’Alessandro e Luciano Franci – evadono dalla Casa circondariale di Arezzo dopo aver segato l’inferriata della cella ed aver superato il muro di cinta con l’aiuto di due lenzuola e un copriletto. La fuga aveva uno scopo ben preciso, portare Franci davanti alla stampa per farlo confessare il suo ruolo nella strage. Fu accusato di aver fatto da palo alla stazione di Santa Maria Novella quella maledetta notte tra il 3 e 4 agosto. Condannato all’ergastolo in secondo grado con Mario Tuti come esecutore materiale della strage dell’Espresso 1486, fu assolto in Cassazione che ha scritto la parola fine.

Erano usciti di scena anche Piero Malentacchi, accusato a suo tempo di aver confezionato l’ ordigno, e Margherita Luddi, all’epoca compagna di Franci, su cui pesava l’accusa di aver trasportato bomba e bombarolo alla stazione di Firenze con la sua automobile.

Sembrava la strada giusta, ma la giustizia non ha fatto il resto. Non c’erano più nomi da ‘incolpare’, l’unica cosa che conta poi quando si piangono dei morti.

La strage senza colpevoli

I colpevoli della strage non sono mai stati individuati. Una conclusione già vista: una strage senza colpevoli e il solito cassetto pieno di domande senza risposta. Resta, come sempre, il silenzio dei 12 passeggeri che hanno perso la vita e il ricordo dei lamenti dei 48 feriti. E l’amarezza di dover pensare che la bomba piazzata su un treno che correva in una notte afosa d’agosto trasportando quasi mille persone poteva provocare molte più vittime.



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