Strage di via dei Georgofili, una ferita aperta nel cuore di Firenze

Un Fiorino imbottito di tritolo esplode in via dei Georgofili. Cinque i morti: una famiglia rimasta intrappolata nel crollo di Torre delle Pulci e uno studente di architettura. Il mittente dell’attentato era Cosa Nostra.

27 maggio 1993. L’orologio aveva da poco segnato l’una di notte, quando una violenta esplosione desta Firenze dal sonno. Un Fiorino rubato la sera prima in via della Scala e imbottito con più di 250 chili di tritolo, nitroglicerina e pentrite – una miscela simile a quella usata in via d’Amelio a Palermo – salta in aria e colpisce al cuore la città. Era parcheggiato in via dei Georgofili, un vicolo che aveva preso il nome dall’Accademia fondata dall’abate Ubaldo Montelatici per promuovere gli studi sull’agricoltura (georgofilo significa proprio cultore degli studi agrari). Una strage, l’ennesima in una Italia che aveva già pianto morti illustri.

La Torre del Pulci crolla, tre piani di storia si sbriciolano seppellendo sotto le macerie la famiglia Nencioni (mamma Angela, custode dell’Accademia, papà Fabrizio e le figlie piccole Caterina e Nadiao). I palazzi vicini presero fuoco. Tra le persone che persero la vita c’è anche il giovane studente di architettura Dario Capolicchio che morì carbonizzato nel rogo del suo appartamento. Francesca Chelli, la fidanzata, riuscirà a salvarsi. 48 persone rimasero ferite, alcune trafitte dalle schegge di vetro. Per strada si sentono solo i sussurri di chi, in lacrime, chiede aiuto e le sirene che attraversano la città segno che qualcosa di brutto era accaduto.

Una tragedia. In un primo momento si pensò che la strage fosse stata causata da una fuga di gas, ma l’orore di “polvere da sparo” era inequivocabile. All’alba fu chiara la verità. Era stata una bomba a ferire Firenze.

Il bersaglio dell’attentato pare fosse la storica Galleria degli Uffizi. Mai prima di allora era stato colpito il patrimonio storico-artistico, i tesori di inestimabile valore. Molti capolavori presenti nel Corridoio realizzato da Giorgio Vasari furono danneggiati irreparabilmente come “I giocatori di carte”, di Bartolomeo Manfredi.

Le indagini portarono a Cosa Nostra

I mandanti? Il clan dei corleonesi di Totò Riina. La strage era stata voluta come risposta di Cosa Nostra all’applicazione dell’articolo 41 bis che prevedeva il carcere duro e l’isolamento per i mafiosi.

Analoghi attentati andarono in scena nella notte tra il 27 e 28 luglio 1993 a Roma (alle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro) e a Milano in via Palestro, dove persero la vita altre 5 persone: tre pompieri ed un vigile urbano, intervenuti sul posto, e un immigrato marocchino che dormiva su una panchina.

Per la ricostruzione dei fatti di via dei Georgofili furono fondamentali le dichiarazioni di Pietro Carra, Gaspare Spatuzza, Vincenzo e Giuseppe Ferro, tutti mafiosi o legati a famiglie mafiose. Ma c’era e continua ad esserci un’ombra. Come spiegò anche Giovanni Brusca, pentito di rango, gli obiettivi di Cosa Nostra erano sempre stati uomini delle istituzioni e mai si era pensato ad un attacco al patrimonio artistico e storico. Attacco che pare fu ‘suggerito’ dall’esterno, ma da chi?

«Cosa Nostra non ha la mente fina di mettere un’autobomba come quella di Firenze» aveva detto Salvatore Cancemi, il reggente della famiglia mafiosa di Porta Nuova che due mesi dopo la strage di Firenze si consegnò ai carabinieri.

I danni economici furono enormi: per ricostruire la Torre dei Pulci, riparare la Chiesa dei Santi Stefano e Cecilia, il complesso degli Uffizi e restaurare le opere danneggiate, furono spesi più di 30 miliardi di lire.



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