Quando iniziò il suo primo viaggio verso New York era già una leggenda, ma nessuno avrebbe mai immaginato che il Titanic, la nave «inaffondabile», un capolavoro di ingegneria e di design, sarebbe passata alla storia per una tragedia.
Con le sue dimensioni inimmaginabili per l’epoca – 268,83 metri di lunghezza e circa 53 di altezza, con un peso lordo di circa 46.328 tonnellate – il transatlantico britannico che poteva navigare a una velocità massima di 24 nodi (circa 44 chilometri orari) era stato progettato per essere una «nave sicura». Furono anche immaginati possibili incidenti, predisponendo tutte le misure necessarie per far fronte a ciascuno di essi, ma nessuna delle ipotesi pensate in fase di costruzione fu in grado di prevedere quello che sarebbe accaduto la notte del 15 aprile 1912.
Per quattro giorni, la traversata fu idilliaca. Il Titanic attraversò il canale della Manica fino al suo primo scalo, Cherbourg, in Normandia. Al porto di Queenstown, in Irlanda, furono imbarcati gli ultimi passeggeri. Anche il 14 aprile non fu diverso dai giorni precedenti. Al ristorante di prima classe era stata servita una cena di dieci portate, dalle ostriche fino al gelato. Al crepuscolo, la temperatura era scesa bruscamente, ma la nave continuò il suo viaggio ‘calmo’, come il mare.
Mancavano 20 minuti alla mezzanotte, quando la vedetta Frederick Fleet notò “a occhio nudo” un iceberg nello specchio d’acqua piatto. Era appena percettibile, sembrava un luccichio all’orizzonte. Il blocco di ghiaccio era solo un’ombra sullo sfondo di una notte senza luna con le stelle brillanti più che mai. Capito il pericolo, la campana fu suonata tre volte. «Iceberg, right ahead!», disse durante la telefonata alla plancia di comando.
Lo scontro con l’iceberg
Lo ‘scontro’ fu evitato grazie all’ordine di virare a babordo (a sinistra). In molti sostennero che le macchine furono messe “indietro tutta”, ma l’ufficiale che avrebbe dato l’ordine, con quasi trent’anni di esperienza marittima alle spalle, sapeva che era la scelta sbagliata. Non andò così: i motori furono fermati.
Se il Titanic avesse mantenuto la direzione, si sarebbe scontrato frontalmente contro l’iceberg, ma l’impatto, seppur violento, avrebbe danneggiato solamente i primi due compartimenti stagni. La nave, progettata per rimanere a galla anche con quattro compartimenti allagati, avrebbe potuto continuare il suo viaggio verso New York, dove sarebbe attraccata in ritardo e con un numero di vite umane sulla coscienza molto inferiore, ma questa non è la vera storia del transatlantico più famoso al mondo. Non solo… se fosse rimasto a galla, la nave che rispose allo “Sos” avrebbe potuto trarre in salvo buona parte dei passeggeri. Forse anche tutti. Ma questo è solo un finale alternativo, più romantico.
Il ghiaccio e l’acciaio si sfiorarono appena. Alcuni pezzi, finiti sulla coperta, furono usati da alcuni passeggeri per giocare, così come raccontato nel colossal di James Cameron con Leonardo DiCaprio e Kate Winslet. Altri ospiti della nave di lusso scherzarono, chiedendosi se potevano mettere i pezzettini nel whisky. Nessuno si rese conto della gravità di quello che sarebbe successo di lì a poco. Il taglio di circa cinque metri sotto la linea di galleggiamento fu fatale.
L’orchestra del Titanic
La prima tragedia fu rendersi conto che sulle 20 lance di salvataggio non c’era posto per tutti. L’ordine del capitano, però, era chiaro: far salire prima donne e bambini ed evitare il panico a tutti i costi. Fu anche chiesto all’orchestra di suonare nel salone di prima classe, per allontanare la sensazione di pericolo.
Del resto, la nave inaffondabile non poteva inabissarsi con il suo carico di vite umane. Non andò così. A causa di un errore dopo l’altro, centinaia di persone andarono incontro alla morte, accompagnati dalle note dei musicisti che continuarono a suonare, con coraggio, fino alla fine. Nessuno di loro sopravvisse al naufragio.
I soccorsi
Fu un disastro nel disastro. Le prime lance lasciarono la nave quasi vuote. La prima fu calata alle 00:40, dal lato destro, con appena 28 persone a bordo. La seconda con 12, sebbene la capacità fosse di 65 passeggeri.
Il capitano cercò con ogni mezzo di ‘convincerle’ a tornare indietro, ma quelle ormai lontane non fecero ritorno. I passeggeri, ormai al sicuro, forse avevano capito che il Titanic era ‘spacciato’. Non bastarono i messaggi di aiuto, i razzi lanciati in aria per avvisare le imbarcazioni di passaggio della situazione disperata, né il codice morse scritto nel cielo con una lune di segnalazione. Chi era rimasto a bordo, soprattutto dopo che l’ultima scialuppa era ormai un puntino all’orizzonte, aveva compreso quale sarebbe stato il suo destino. Tutti erano coscienti del fatto che non potevano fare nulla per evitare il disatro.
Cosa accadde in quei drammatici minuti, anzi in quelle drammatiche ore, lo hanno raccontato i sopravvissuti: storie di eroi e racconti di comportamenti ‘sbagliati’ ma probabilmente dettati solo dalla disperazione mentre il Titanic andava a picco. La paura di morire, in fondo, mette in mostra i lati migliori e peggiori del volto umano. Ci fu chi si trasformò in vigliacco e chi dimostrò un grande coraggio. Chi si rifiutò di salire sulle lance senza la persona amata, chi si vestì da donna per potersi assicurare un posto e chi preferì stare a guardare, magari assaporando un buon brandy, a dimostrazione che la cavalleria non è caratteristica comune a tutti i gentleman.
La legge del mare dice che il capitano deve affondare con la sua nave. E così fu. Il Comandante si dimostrò signore fino in fondo. Sembra che le sue ultime parole siano state un invito ad essere galanti: «Be British!», “Siate britannici!”. Secondo un’altra testimonianza Benjamin Guggenheim , un ricchissimo imprenditore statunitense, rifiutò il salvagente, indossò un abito da sera e pronunciò una frase del tipo: «Ci siamo messi gli abiti migliori e affonderemo come gentiluomini».
L’affondamento del gioiello di ingegneria navale
L’orologio aveva appena segnato le 2.18, quando il gigante d’acciaio simbolo della Belle époque si spezzò, un fatto che rimase inspiegabilmente cancellato dalla storia fino a quando non fu ritrovato il relitto e fu possibile ricostruire gli ultimi minuti della lussuosa città galleggiante. Nel giro di pochi minuti la nave affondò, trascinando nelle acque gelide dell’Oceano atlantico la gente rimasta a bordo. Qualcuno provò ad aggrapparsi ai ‘rottami’ del transatlantico, sperando di sopravvivere. Quando, dopo aver messo al sicuro i superstiti, la prima lancia tornò sul luogo del naufragio, c’era solo silenzio. Si notavano solo i giubbotti di salvataggio che mantenevano a galla i cadaveri cullati dal mare. Il gigante ferito a morte sprofonda nel mare. Della nave carica di sogni e speranze non era rimasto più nulla.
Secondo i rilievi, la nave solcava il mare a una velocità troppo elevata per riuscire a evitare il blocco di ghiaccio che aprì uno squarcio nello scafo, orgoglio e vanto della marineria britannica. Si è detto che l’acciaio fosse di qualità «scadente». Emerse anche che l’equipaggio non aveva né binocoli né cannocchiali. Erano conservati in un armadietto chiuso a chiave. E dov’era la chiave? A terra, nelle tasche del secondo ufficiale, trasferito sulla nave gemella del Titanic, l’Olympic. La “reliquia” è stata venduta all’asta nel 2016 per 90mila sterline. Forse la storia sarebbe stata diversa se i marinai avessero notato il gigante di giacchio non quando era pericolosamente vicino.
Certo è che quella notte morirono 1.523 persone. 706 hanno avuto la ‘fortuna’ di raccontare il naufragio più tragico della storia.
