Yara Gambirasio, la “Farfalla” uccisa e abbandonata in un campo ghiacciato

La storia di Yara Gambirasio, la giovane promessa della ginnastica artistica trovata senza vita in un campo a Chignolo d’Isola. Per la giustizia l’assassino della 13enne è Massimo Bossetti

Nella storia di Yara Gambirasio, due sono le date che rimarranno impresse per sempre: quella del 26 novembre 2010 quando la 13enne di Brembate di sopra con la passione per la ginnastica artistica scompare nel nulla dopo l’allenamento nel centro sportivo del suo paese, a pochi minuti a piedi da casa. In quei 700 metri, tra la villetta di via Rampinelli e la palestra delle “farfalle” di via Morlotti c’erano tutte le risposte, bastava solo trovarle.

La seconda data è quella del 26 febbraio 2011 quando le speranze di trovarla ancora viva si infransero in un campo incolto a Chignolo d’Isola, dove il suo corpo senza vita è stato trovato per caso da un padre di famiglia con l’hobby dell’aeromodellismo. Stava provando uno dei suoi modellini, quando l’aereo che aveva costruito con le sue mani è “atterrato” accanto a quel corpicino indifeso, quasi irriconoscibile. “Sembrava un mucchio di stracci – aveva raccontato – chiamai il 113: mi dissero, ha le scarpe? Nere risposi. Pantaloni? Neri”. “Non si muova da li” risposero gli uomini in divisa al telefono. L’uomo rimase accanto a quel piccolo cadavere ancora sconosciuto. Toccherà a mamma Maura, accompagnata sul campo, riconoscere la sua bambina, morta la sera stessa della scomparsa. Era sempre stata lì, come dimostra un ciuffetto d’erba ritrovato nella mano che la piccola ha stretto durante le ore di agonia.

Si era chiuso un capitolo per la famiglia della ragazzina da sempre convinta che non si era allontanata da sola, che non era fuggita via. Ne cominciava un altro, ancora più doloroso per mamma Maura e papà Fulvio, sempre composti, mai una parola fuori posto, con una domanda, forse la più importante: chi aveva ucciso Yara? Chi l’aveva abbandonata e lasciata morire per le ferite e il freddo?

Le ultime ore di Yara

Quando ha capito di trovarsi faccia a faccia con il suo assassino, Yara ha tentato di fuggire. Aveva obbedito quando le aveva chiesto di togliere batteria del cellare, trovata in una tasca della felpa e la scheda sim, messa nell’altra (il telefono, invece, non è mai stato ritrovato), ma non quando quello sconosciuto aveva cercato di ottenere ciò che voleva. Probabilmente si ribella mentre è ancora sul furgone, come dimostrerebbero le tracce di polvere di calce trovate dal medico legale nei suoi polmoni. Poi scappa ancora, nel campo, ma ferita e colpita alla testa non riesce a fare molta strada. Il gelo di quella notte bergamasca farà il resto.

Secondo la giustizia, il killer si nascondeva dietro il volto di un muratore di Mapello, marito e padre. Massimo Giuseppe Bossetti era ignoto1, il figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni, l’autista di Gorno morto nel 1999 e considerato il padre dell’assassino. Per la legge è lui ad aver ucciso una ragazzina della stessa età dei suoi figli “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Ergastolo è la sentenza che chiude il caso, ma quanta strada è stata fatta per scrivere la parola fine.

Ignoto 1

Nelle indagini che, apparentemente, sembravano brancolare nel buio c’era una certezza. Giuseppe Guerinoni era il padre biologico dell’uomo che aveva ucciso Yara Gambirasio, «Ignoto 1» come era stato chiamato il Dna ricavato da una traccia di sangue trovata sui vestiti della piccola atleta. L’autista di pullman aveva avuto un figlio illegittimo, il killer della 13enne. Una goccia nel mare per gli inquirenti che dovevano trovare un nome e un volto, che dovevano risolvere un rebus che sembrava non avere una soluzione, ma quel campione genetico era una speranza per i genitori della bambina che da anni aspettavano di conoscere la verità, di avere «giustizia». Il conducente di Gorno, quattordici anni dopo la sua morte era entrato nel giallo di Brembate e poteva essere la chiave per risolverlo.

Come si è arrivati a Massimo Bossetti?

Yara “parla”. L’assassino aveva lasciato la sua firma sul corpo della ragazzina, ferendosi con un coltellino nel tentativo di strapparle gli slip. Analisi dopo analisi, si arriva a Guerinoni, scomparso nel 1999. Sulla vecchia patente dell’uomo, morto a 61 anni, c’è la marca da bollo. Dietro è «nascosto» un campione di saliva, ma il Dna dei figli è che incompatibile con quello trovato sul corpo di Yara. Ne aveva messo al mondo un altro, fuori dal matrimonio e forse sarebbe rimasto un “segreto” se non ci fosse stata di mezzo la morte di una ragazzina, giovane promessa della ginnastica ritmica.

Come trovare un ago nel pagliaio, dice qualcuno, ma alla fine qualcosa salta fuori. Chiacchiera dopo chiacchera, pettegolezzo dopo pettegolezzo si arriva ad una testimonianza. Un ex collega racconta una confidenza di quel tizio all’apparenza tranquillo, ma con qualche scheletro nell’armadio. «Mi disse che aveva messo nei guai una ragazza con cui aveva una relazione». Le voci di paese portano a Ester Arzuffi, una donna il cui Dna risulta compatibile per ben due volte con quello di Ignoto 1: era la mamma di Bossetti. Quello di Massimo, muratore di Mapello, non era un nome nuovo. Il suo telefono era uno di quelli che avevano agganciato la cella di Brembate di Sopra la sera in cui Yara è scomparsa.

Con la scusa di un posto di blocco, gli inquirenti riescono a prelevargli un campione di Dna e lo analizzano. Il risultato? Compatibile al 99,99999987%. In gergo si chiama «prova regina». Ester ha sempre negato «Non ho tradito mio marito. È lui il padre dei miei figli». Massimo ha sempre urlato la sua innocenza. Non è bastato.



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