‘C’è chi vuole milioni di disoccupati, di imprenditori falliti e di famiglie alla fame’, le Mascherine Tricolori scendono in piazza

Si tratta di lavoratori, imprenditori, madri, padri, partite IVA: tutte persone che stanno ancora aspettando le misure di aiuto promesse dal Governo Conte da più di due mesi

“La situazione è drammatica e non intendiamo rimanere in silenzio a vedere fallire le nostre attività o vedere sfrattate le nostre famiglie. Siamo lavoratori, imprenditori, madri, padri, partite IVA: tutte persone che stanno ancora aspettando le misure di aiuto promesse dal Governo Conte da più di due mesi. Non abbiamo paura delle multe, stare in piazza è un diritto: non saranno repressioni e divieti a fermare la nostra voce».

Non hanno paura a scendere in piazza, ci mettono la faccia dietro i loro dispositivi di sicurezza tricolori. Del resto lo spiegava nei secoli scorsi Giuseppe Parini: il bisogno è un tiranno del pensiero. Quando non hai da mangiare per te e per la tua famiglia e quando chi ti prometteva aiuto tarda a farlo, le facolta razionali – quelli che ti dovrebbero imporre calma e sangue freddo – si allentano, si attenuano e in alcuni casi cadono totalmente.

Sono scese in piazza così, nella giornata di ieri, le Mascherine Tricolori, a distanza di sicurezza ma determinate a sfidare il lockdown per chiedere con forza misure concrete a sostegno di lavoratori e famiglie.

«Dopo l’azione che ci ha visti protagonisti in più di settanta piazze italiane – si legge nel comunicato diffuso dal movimento – siamo scesi in piazza contro chi evidentemente vuole milioni di disoccupati, di imprenditori falliti e di famiglie alla fame. Il nostro è uno: combattere per difendere il futuro dell’Italia e delle nostre famiglie. Le mascherine che portiamo non sono un bavaglio ma un atto di accusa contro chi ha deciso colpevolmente di far fallire un’intera Nazione».

Si tratta di piccoli imprenditori, di partite iva, ma soprattutto di padri e madri di famiglia in seria, serissima difficoltà. Per loro l’andamento della curva epidemiologica non giustifica più la chiusura di negozi e attività dentro le quali hanno investito tutti i loro risparmi. E del resto se le istituzioni fossero state più presenti, almeno da un punto di vista economico, si potrebbe anche discutere di date di riapertura e di cautela. Ma dinanzi all’impossibilità di fare la spesa e con il rischio serio di doversi rivolgere alle associazioni di volontariato per chiedere pacchi alimentari, loro che con il lavoro quotidiano hanno dato una grossa mano al Paese ad andare avanti anche nella crisi pre-coronavirus, proprio non ci stanno.

Il rischio che tra garantiti e non garantiti possa crearsi un conflitto sociale dalle conseguenze sconosciute è fortissimo. Mentre proprio ieri abbiamo ricordato i dati dell’Osservatorio sulle morti per causa economiche stilato dal sociologo Nicola Ferrigni della Link Campus University.



In questo articolo: