IL PERSONAGGIO. Mino Manta, il Galliani del Salento con quell’aria un po’ naif

Continua il viaggio di leccenews24.it nel mondo dei personaggi dello sport salentino. Oggi il ritratto di Mino Manta, attuale direttore sportivo del Gallipoli con un passato nelle categorie minori. Una chiacchierata sui giovani, su Miccoli, su Ciro Muro, passando per Maradona

Nel 2010, in occasione della presentazione della Toma Maglie di cui era direttore generale, un noto giornalista salentino coniò per lui addirittura un aggettivo, parlando di squadra di “minomantiana” fattura, per sottolineare la costruzione di un team con poche risorse ma dalle grandi aspettative.

Già, perché il mondo del pallone non è soltanto lustrini, paillettes e tanto tanto denaro, ma spesso è il contrario di tutto ciò. Spesso, molto spesso è un presidente che ti chiama per costruire una squadra con le poche risorse che ci sono a disposizione, ma con le tante aspettative che i tifosi costruiscono intorno alla maglia, ai colori sociali, al campanile, all’identità sportiva che è anche identità territoriale.

E lui, Mino Manta, viene chiamato sempre, così come si chiamano i guru, quando c’è da costruire qualcosa di importante, importante per quello che può essere il destino calcistico di tante squadre di Promozione, Eccellenza e anche Serie D. Importante sì, ma sempre con poche risorse, con il denaro contingentato, con il portafogli semivuoto. E lui pronto, sempre pronto a costruire quanto di meglio può fare con quello che c’è a disposizione. Poco, sempre poco? Ma si fa lo stesso.
Mino Manta è un personaggio, con quell’aria un po’ così, con quell’aria un po’ naif, da figlio dei fiori, capello lungo spettinato-curato, fazzoletto colorato al collo, scarpe giovanili di tendenza.

Sempre disponibile, sempre gentile, mai ritroso alla battuta e al commento. La sua storia parte da lontano, con qualche esperienza nel mondo del calcio giocato.
«Ho giocato fino alla Promozione con il Taviano ma vanto un bel po’ di presenze nel  Collepasso e nel Tuglie in prima categoria.»

Poi, dal rettangolo verde alla scrivania…
«Sì, ma prima tanta, tanta gavetta. Appese le scarpe al chiodo, inizio a fare il dirigente. Poi un incontro fortunato, quello con un grande del calcio salentino:  Mimmo Cataldo. L’allora direttore sportivo del Lecce mi chiama come osservatore dei giallorossi; bei tempi quelli con il mai troppo compianto presidentissimo Franco Iurlano»

In cosa consisteva la collaborazione?
«Andavo sui campi della serie B, vedevo le altre squadre  e facevo le relazioni per il direttore. Relazioni scritte a mano, ovviamente. Relazioni scritte con la penna su fogli A4, relazioni che servivano agli allenatori del Lecce per preparare le partite. Ma non ne sapeva niente nessuno, spesso nemmeno gli allenatori stessi che ricevevano le indicazioni da Cataldo. Mimmo ci teneva al segreto. Diceva che agli avversari non bisognava dare nessun vantaggio»

Finita l’esperienza con il Lecce?
«Inizio da zero, nuovamente, come tante volte ho fatto nella mia carriera. Vado a fare il direttore in Promozione, al Collepasso, poi arrivo al Casarano quando ancora non c’era Pantaleo Corvino: seguivo le partite per i rossoblu. Tramite Massimo De Solda, conobbi poi Pasquale Ruta del Taranto e andai lì a fare il direttore sportivo degli jonici in serie D.

Grandi risultati e quindi si resta a Taranto…
«No. Grandi grandissimi risultati certamente. Vincemmo, infatti, il campionato …Ma non resto a Taranto. Cambio aria, faccio il salto e vado ad ischia, perché i due presidenti,  Basentini e  Catello Buono, mi chiesero di ripartite da lì, di fare il direttore sportivo in C1, nella bellissima isola del Golfo di Napoli. Sono stato  ad Ischia dal 1999 al 2003. Puntavamo alla salvezza in C e abbiamo fatto belle stagioni, tagliando sempre il traguardo prefissato»

Quale la soddisfazione professionale più grande?
«Vendetti Martuscello all’Empoli per oltre un miliardo di lire e litigai (si fa per dire…) con Pantaleo Corvino che lo voleva al Casarano ma mi voleva pagare la metà. E poi presi Ciro Muro dal Napoli, il vice di Maradona, non so se mi spiego…»

Il dopo Ischia?
«Da Ischia me ne torno nel Salento per la famiglia e arrivo a Galatina, il primo anno di serie D in cui prese prese il titolo sportivo dall’Aradeo del famoso Antonio Tramacere. Poi da Galatina a Casarano, con il patron Filograna anche se dopo sei mesi lui la cedette in C2 ad Aldo Miggiano e retrocedemmo. Venne quindi Eugenio Filograna, il patron di Postal Market e rimanemmo in serie D»

Quindi Nardò…
«Già, quindi  Nardò: 4 anni con Enzo Russo sempre per rimanere in categoria in una piazza bellissima che merita altre categorie per il calore che ci mette nel calcio.»

Subito dopo?
«Subito dopo a Maglie con il presidente Prete, e lì costruiamo il famoso maglie dei record e vincemmo il campionato per arrivare all’Eccellenza. Poi crisi societaria, arriva Marcello Barone a dare una mano e diventiamo amici. Con il patron Barone nasce una forte amicizia e lo seguo nella sua Gallipoli. Da allora sono trascorsi 4 anni e siamo arrivati dalla promozione alla Serie D. Calcisticamente parlando un’avventura molto bella»

Un rimpianto?
«Devo essere sincero, l’unico grande rimpianto è quello di essere tornato nel Salento dopo gli anni belli di Ischia. Dovevo andare alla Lucchese ma scelsi di avvicinarmi alla famiglia, cose che professionalmente si pagano»

Tra i patron con cui si è rapportato chi ha amato di più?
«Devo dire che Marcello Barone ha grandi doti, è estroso, imprevedibile, generoso. E poi ricordo con affetto il presidentissimo di Ischia: Catello Buono »

Il calcio salentino?
«Sta passando un momento difficilissimo, perche pochi ci investono. Pochi possono fare il salto di qualità. Anche il Lecce sta vivendo questa crisi, anche se forse questo sarà proprio l’anno buono»

Per fare un buon calcio, cosa ci vuole?
«Innanzitutto i soldi, poi ci vuole la cura del settore giovanile; bisogna fare un polo come il Lecce o il Casarano di qualche tempo fa, altrimenti saremo sempre sul ciglio del fosso. Bisogna puntare sui giovani. Ci vuole organizzazione. Ci sono tanti talenti salentini che non trovano lo spazio e la giusta valorizzazione. È un peccato…»

Il talento più forte acquistato?
«Ciro Muro, l’ho visto insieme a Maradona quando si allenavano da soli allo stadio di Ischia per fare degli schemi loro, schemi tutti particolari. Due fenomeni»

Hai conosciuto Maradona, quindi. Che tipo era?
«Diego Maradona era un amico, simpatico, gentile, generoso e magari un po’stravagante»

Il talento salentino più forte?
«Fabrizio Miccoli, senza ombra di dubbio. Io arrivavo a Casarano  e lui andava alla Ternana. Era ed è un campione.»

Il talento inesploso?
«Gigi Di Baia, non faceva mai il passo adeguato per il salto di categoria. Per non parlare poi di Gennaro Monaco, grande difensore che poi ha fatto la serie A. Walter monaco, anche lui avrebbe potuto fare di più ma adesso che sta allenando il Nardò mi sembra che abbia grandi doti anche da tecnico.».



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