Ottima riflessione del professore Valerio Elia sulle colonne del Nuovo Quotidiano di Puglia, sacrosanto il tenore della critica e la prospettiva politica che il docente universitario ha suggerito alla politica pugliese, da tecnico e non da politico, e forse per questo doppiamente interessante.
Ma c’è un punto che andrebbe messo in evidenza e che Elia ha lasciato volutamente sullo sfondo, forse per non sembrare troppo aggressivo, ma piuttosto equilibrato come è nel suo carattere: il Centrodestra non è riuscito a costruire una leadership e non ha individuato una linea o un modello di emancipazione politica a livello territoriale perché non ha voluto farlo. Nessuno si è preoccupato di seminare e adesso è certamente impossibile raccogliere frutti.
Chi poteva o doveva provvedere alla successione, alla formazione di una nuova coscienza, chi doveva o poteva predisporre i meccanismi per attivare una nuova classe dirigente non lo ha fatto, timoroso forse di vedere ristretti i suoi spazi di potere nella gestione locale. La solita vecchia storia che puzza di pochezza morale e di debolezza culturale.
Se dall’altra parte la Regione Puglia conosce e si interroga su chi fra Emiliano, Stefano e lo stesso Vendola sia più adeguato a condurre le redini della carovana regionale o chi fra di loro sia più attrezzato politicamente o amministrativamente, da questa parte il centrodestra, che non è più una entità omogenea, non ha ancora chiarito chi e come potrebbe ravvivare la partita elettorale pugliese.
Anzi, Forza Italia preferisce arrovellarsi e perdere tempo sulla successione alla Provinciucola piuttosto che dedicarsi ai destini della Regione la quale, unica e sola, determina le scelte fondamentali o decide tempi e stagioni politiche oltre che i destini di una vasta popolazione.
Al di là del carisma e della tempra dei candidati da contrapporre al centrosinistra, attributi sui quali si potrebbe discutere a lungo, sembra mancare il respiro profondo di un progetto, quel respiro corto che Berlusconi ha individuato nel geloso tentativo di molti audaci colonnelli del suo esercito di fine impero impegnati a salvaguardare i propri avamposti senza garantire tutela all’intero corpo militare. Bravi, anzi bravissimi, nell’ottenere per sé, mandando però al massacro le truppe schierate.
La debolezza è sempre figlia di errori, e l’errore più grande è stato quello di non aver voluto ampliare la rosa delle ambizioni politiche. Nel centrosinistra ne sono germogliate tante, nel centrodestra è mancata l’acqua e soprattutto chi avrebbe dovuto innaffiare.
