
È durato circa sei ore l’interrogatorio del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, nell'ambito dell'inchiesta per disastro ambientale. «Non ho sinceramente nulla di cui vergognarmi per quello che ho fatto» ha dichiarato il Governatore all’uscita dalla caserma della Guardia di finanza
Un «dovere». Una «necessità». «Un’impellenza morale». Ha usato queste parole il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, riferendosi all’interrogatorio di ieri dinanzi alla Procura ionica nell’ambito dell’inchiesta per disastro ambientale a carico dei vertici dell'Ilva. «Non ho sinceramente nulla di cui vergognarmi per quello che ho fatto per amore della città di Taranto» ha commentato Vendola all’uscita dalla caserma della Guardia di finanza di Taranto quando da poco erano passate le 22.00. «Gli equivoci – ha aggiunto- era giusto che fossero affrontati, guardati, che i sospetti potessero essere allontanati. Spero di essere stato all’altezza di un compito molto difficile qual è quello di esercitare, in una fase come questa, una difesa che, per quanto mi riguarda, non è solo la difesa di Nichi Vendola. È la difesa di nove anni di storia della Regione Puglia».
Il leader di Sinistra Ecologia Libertà non ha voluto entrare nel merito delle contestazioni mossegli dai magistrati, sottolineando invece il «garbo» mostrato dagli inquirenti e aggiungendo di aver depositato «tante cose». «Sono venuto qui senza lamentarmi – ha detto ancora il governatore – sono stato sottoposto ad una indagine per qualcosa che non ho fatto. Tuttavia, siccome sono il presidente della Regione Puglia, è giusto che chini il capo e venga a difendermi nelle sedi opportune, come fanno i normali cittadini. Sono sereno – ha concluso – perché non ho mai fatto niente di male nella vita mia e non ho mai fatto niente di male a Taranto, che è una città meritevole di tanto amore e impegno. Mi sento gratificato dalla possibilità che ho avuto di dire fino in fondo la mia».
Per circa sei ore il governatore pugliese ha risposto alle domande dei magistrati. L’ipotesi di reato è quella di concorso in concussione. Secondo la Procura, infatti, nel 2010 Vendola avrebbe esercitato pressioni sul direttore generale dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato, per «ammorbidire» una relazione sugli elementi inquinanti prodotti dall’Ilva, ipotizzando una mancata riconferma dello stesso Assennato ai vertici dell’Arpa regionale.
Anche Assennato, è stato ascoltato nella stessa caserma in tarda serata ma il suo interrogatorio è durato solo pochi minuti. Il direttore generale dell’Arpa Puglia, che ha preferito depositare una memoria difensiva, è accusato di favoreggiamento personale perché avrebbe negato, quando è stato sentito come teste dagli inquirenti, di aver ricevuto pressioni dal governatore per favorire l’Ilva. Stesso capo di imputazione contestato a Massimo Blonda, direttore scientifico di Arpa Puglia, che però all’ultimo momento ha rinunciato all’interrogatorio.