2 giugno, quando l’Italia scelse la Repubblica ed esiliò la Corona

Il 2 giugno 1946 l’Italia, dopo un referendum dal risultato incerto fino all’ultimo volto, scelse la Repubblica. Al Sud il successo della Corona non bastò.

(foto di Gabriele Letizia) Per molti italiani il 2 giugno, Festa della Repubblica, resta una data importante, da celebrare e onorare come si fa con le occasioni speciali. 75 anni fa il 54,3% degli italiani, donne e uomini, si recarono in massa alle urne decretando la fine della Monarchia. Per i Savoia iniziò un lungo periodo di esilio. Una data non casuale: era l’anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi.

Monarchia o Repubblica? La domanda, scritta nero su bianco nella scheda elettorale del referendum sulla forma istituzionale dello Stato, era semplice. Più difficile per gli italiani era scegliere se continuare con il “vecchio” o voltare pagina, con coraggio.

La nascita della Repubblica non fu facile

Il paese, ancora provato dal ventennio di dittatura fascista e da una guerra che si rivelò sanguinosa, era spaccato in due: il Nord a maggioranza repubblicana ed il Sud fedele alla Corona. Era necessario tenere a bada qualsiasi scintilla che avrebbe potuto trasformare le tensioni in un incendio chiamato “guerra civile”. In comune c’era solo l’esigenza di esprimere, attraverso le urne, la propria opinione dopo tanti anni di ‘silenzio’.

Si misero in coda, fuori dai seggi, 25 milioni di elettori, donne comprese che votarono per la prima volta. Due erano i compiti: esprimersi sulla forma dello Stato e votare per l’Assemblea Costituente che scriverà la nuova architettura dello Stato. Nonostante l’affluenza altissima, vicina al 90%, furono due giorni tranquilli: non ci furono né tafferugli, né minacce, né intimidazioni. Alle 14.00 del 3 giugno si chiusero le porte delle 35.000 sezioni elettorali. L’Italia aveva votato, aveva scelto.

Il conteggio fu lentissimo e il risultato incerto per tanto tempo, tanto che ancora oggi aleggiano molte leggende sui conteggi alterati. In un primo momento, l’esito sembra favorevole alla Monarchia. All’alba del 4 giugno, il presidente De Gasperi scrisse al ministro della Real Casa, Falcone Lucifero che ‘sic stantibus rebus’ non è plausibile una vittoria della Repubblica. Una frase entrò nella storia «Entro stasera, o lei verrà a trovare me a Regina Coeli, o io verrò a trovare lei». Sembrava che tutto fosse perduto, quando arrivarono i risultati di un nutrito numero di seggi meridionali. Come finì è storia: con due milioni di voti di scarto, gli italiani scelsero la Repubblica.

Il passaggio dalla monarchia alla Repubblica avvenne in un clima di tensione, tra polemiche sulla regolarità del referendum, accuse di brogli, confronti accesi sulla stampa, ricorsi e reclami. Era importante non dar adito alle voci, per non infiammare gli animi già accesi. Solo il 18 giugno, la Cassazione confermò la vittoria della Repubblica, non senza un piccolo giallo: nel computo delle schede furono considerate solo quelle valide e non le bianche e le nulle, contravvenendo così alle norme approvate sulla procedura di scrutinio. Probabilmente, l’intento era quello di evitare una spaccatura nel paese che avrebbe potuto portare a una nuova guerra civile.

Messo davanti al fatto compiuto, il «re di Maggio» Umberto I lasciò l’Italia, invitando i suoi sostenitori a non tentare alcuna violenza: «A tutti coloro che ancora conservano la fedeltà nella Monarchia… rivolgo l’esortazione a voler evitare l’acuirsi di dissensi che minaccerebbero l’unità del Paese…Con l’animo colpo di dolore, ma con la serena coscienza di aver compiuto ogni sforzo per adempiere ai miei doveri io lascio la mia Patria. Qualunque sorte attende il nostro Paese potrà contare sempre su di me, come sul più devoto dei suoi figli».



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