13 maggio 1981, Ali Agca spara a Papa Giovanni Paolo II. L’attentato in piazza San Pietro

Era 13 maggio 1981, quando il lupo grigio Ali Agca sparò a Papa Giovanni Paolo II durante il giro in piazza San Pietro prima dell’udienza generale.

Il 13 maggio la Chiesa era solita ricordare l’apparizione della Madonna di Fatima, ma dal 1981 quel giorno è legato ad un altro fatto che ha scosso il mondo intero, cristiani e non: l’attentato a papa Giovanni Paolo II. Un gesto che non rimarrà senza colpevole, ma che a distanza di tanti anni ha ancora quel velo di mistero mai dissolto. Se chi ha aperto il fuoco, Ali Agca è stato arrestato, condannato e perdonato, restano ancora tante domande senza risposta e punti oscuri come il giallo della terza pallottola.

Il crimine del secolo

L’orologio segnava le 17.19 quando su piazza San Pietro, gremita di gente, cala un silenzio surreale. Qualcuno aveva sparato al Pontefice che sulla jeep bianca stava salutando i fedeli prima dell’udienza generale. Karol Wojtyla si accascia sulla papamobile, in fin di vita. La corsa drammatica in ambulanza al Policlinico Gemelli avviene mentre le foto scattate dai cronisti presenti cominciano a fare il giro del mondo. Le condizioni del Santo Padre erano disperate, aveva perso molto sangue. L’operazione durò quasi cinque ore e mezza. Era riuscita. Il Papa era salvo grazie ai medici e alla Madonna di Fatima. «Una mano ha sparato, un’altra mano ha deviato la pallottola» disse una volta guarito. Quanti colpi furono sparati è uno dei misteri di quel mercoledì di maggio. Certo è che un bossolo del proiettile è stata incastonato nella corona della statua della Madonna di Fatima.

L’arresto

A sparare, come detto, era stato Mehmet Ali Ağca, un lupo grigio. Un killer di professione, conosciuto per essere infallibile. Nel 1979 era stato arrestato e condannato per l’omicidio del giornalista turco Abdi Ipekci, attivista per i diritti umani, ma era riuscito ad evadere dal carcere di massima sicurezza dove era stato rinchiuso. Fu catturato mentre scappava con la pistola ancora in mano, una Browning. Il papa, dal letto dell’Ospedale, risponde con il perdono. Farà di più. Il 27 dicembre 1983 incontrerà il suo aggressore rinchiuso nel carcere di Rebibbia.

L’attentatore, nel corso degli anni e dei vari processi, ha dato tante versioni diverse. Racconti contraddittori e inverosimili per confondere il più possibile l’opinione pubblica. E di piste ne sono state battute tante: dal coinvolgimento di Cosa Nostra al legame con la scomparsa di Emanuela Orlandi fino alla confessione di Ali Ağca, scritta nero su bianco nel suo libro, in cui racconta che a ordinare l’attentato fosse stato l’ayatollah Khomeyni. Le indagini hanno seguito le strade più diverse ma non c’è ancora una verità certa.

Di quel giorno restano le immagini e una maglia bianca insanguinata e bucata dai fori dei proiettili. È nella cappella dell’istituto delle Figlie della Carità, a Boccea, conservata in una teca. La reliquia è sopravvissuta grazie alla prontezza di una infermiera che era in sala operatoria e la vide buttata in un angolo. Anna Stanghellini, così si chiamava, tenne per qualche tempo quella ‘preziosa’ reliquia nel suo armadio, ma nel 2000 la donò alle suore alle quali era molto legata, quelle religiose con cui scelse anche di abitare negli ultimi anni della sua vita.

Ci fu un altro tentativo di uccidere Giovanni Paolo II, meno conosciuto. Era il 12 maggio del 1982, quasi un anno dopo. Un uomo, il sacerdote spagnolo Juan María Fernández y Krohn, tentò di colpire il papa in viaggio a Fatima con una baionetta, ma fu fermato dalla sicurezza.

Perché il Papa doveva morire e chi voleva ucciderlo sono alcune delle tante domande rimaste senza risposta.



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