Prima che capitasse questo maledetto virus, ogni domenica mattina andavamo a Lecce per la messa delle ore 11.00 che si svolge nella chiesa del vecchio Ospedale Vito Fazzi, una celebrazione multirazziale con fedeli indiani, tamil, africani, sud americani, ed altri.
E, mentre Franca è a messa, io ne approfitto per fare degli acquisti nel mercato allestito dai soci della Coldiretti, una mini riedizione della Chiazza Cuperta, Piazza Coperta, della quale vi dirò in un’altra occasione. Vendono di tutto: verdure, frutta, miele, pane, pasta fresca, particolari le orecchiette e i minchiareddhi, una specie di maccheroncini, e anche vino, olio di oliva vergine, formaggi pecorini, mozzarelle nostrane, la giuncata raccolta, alla maniera antica, nei fasci di giunco, ecc.ecc..
E poi, aspettando Franca, giro nella Lecce vecchia e ….. faccio degli incontri.
E vi racconto di una domenica di settembre dello scorso anno. Avevo a disposizione circa un’ora, così mi son messo a girare, vagando senza meta. La porta di un’abitazione a piano terra s’aprì e qualcuno lanciò una secchiata d’acqua. Feci un salto laterale lasciandomi scappare un “ hei, attenta “ – riuscendo ad evitare che venissi preso in pieno dal liquido, certamente utilizzato per pulire un pavimento.
L’anziana donna rimase a guardarmi col secchio in mano per alcuni istanti.
Aveva capelli raccolti a crocchia, con indosso una vestaglietta a fiori bianchi e azzurri che le scendeva quasi a coprire delle calze bianche di cotone, infilate in delle ciabatte beige come quelle portare da medici e infermiere. Poi rientrò senza battere ciglio.
Però quel viso, la tristezza degli occhi, il mento allungato, mi ricordarono qualcuno, ma senza riuscire a capire chi fosse.
Poi, quando mi accorsi che mi trovavo in una traversa di Via di Leuca, e che quella era la porta dove abitava la Lena, ebbi un’emozione improvvisa e mi ritrovai negli anni cinquanta.
Lena era una donna bellissima, alta, lunghi capelli castani che le arrivavano sulle spalle, seni formosi, indossava sempre gonne che le arrivavano quasi fin sotto ai piedi, che dopo un certo numero di passi si aprivano per mostrare delle lunghe splendide gambe. E mi ricordo di noi amici che contavamo i passi, sempre tredici, chissà perché poi, sarà stato un numero scaramantico per lei, e la gonna si spalancava, come il tendaggio di un palco di teatro.
La chiamavamo Ava Gardner, e come la famosa attrice aveva lo stesso incedere, il sorriso misterioso che faceva tanto Monna Lisa, insomma una perfetta donna di classe, di quelle irraggiungibili, da vedere e non toccare. E in pochi infatti la toccavano, solo quelli che avevano tante, ma tante lire per soddisfarla.E tutti, dopo aver sborsato tanti soldi, dicevano di lei che era frigida, sessualmente insensibile.
Nei giorni di primavera, sino a settembre, ottobre, ogni pomeriggio passeggiava lungo i viali, risalendo da Viale Otranto verso Viale Gallipoli, passando per Porta Rudiae, Piazza Santo Oronzo, sino a Via Leuca e quindi casa sua. Direte, ma che facevi la seguivi? No, tutti conoscevamo il suo percorso, era sempre lo stesso. Durante il tragitto, in quelle ore canicolari, se avesse tenuto conto dei richiami appassionati, dei sordellini, ne avrebbe contati a centinaia.
Cosa è il sordellino? E’ un fischio alla rovescia, prodotto dal restringimento delle labbra a mo’ di tubo, aspirando il fiato all’interno si produce un sibilo udibile a una certa distanza. Per noi ragazzi era una sorta di richiamo amoroso lanciato per far sapere alle ragazze che approvavamo la loro bellezza. Certo non l’avremmo mai sprecato per una non attraente. Si diceva che fosse l’amante di uno straricco notaio salentino, fisicamente mal fatto, basso, panciuto, anziano, ma ricco, ricchissimo, il cui nome si sapeva ma non si diceva.
Continuando a passeggiare, in una delle corti nel rione della Chiesa di San Matteo, notai una anziana signora che spazzava davanti alla sua abitazione, raccogliendo l’immondizia in un contenitore. Cose d’altri tempi, innumerevoli volte ho assistito a scene di tal genere, quando le strade era pulite.
Intanto dall’altro lato della strada si avvicinava un’altra signora, stessa età, anche lei vestita con uno sgargiante abito a fiori.
Si fermò e salutò: ‘Ciao Tetta, comu stai?’
E Tetta: ‘Comu Diu cumanda, cu le dolori all’anca, ma tiramu annanzi’.
– Te sta faci la scupata de prima matina, segnu bonu.
– Carmelina mia, oramai sulamente cu la scupa a manu putimu scupare.
– Lassamu perdere, nu me le fare ricordare certe cose, nd’aggiu fatte tante…. Te salutu Tetta, aggiu fare la spesa e se no se face tardi.
Appena Carmelina si fu allontanata si aprì la finestra accanto e apparve la vicina di casa, che certamente da dietro le persiane aveva ascoltato tutto.
– Tetta, ce sta cuntaa la Carmelina, aggiu ntisu sulu la frase finale… “nd’aggiu fatte tante
– De scupate a prima matina….
– Veramente la Carmelina le facia sempre, era lu mestiere sou, tutti sapimu ca era na gran puttanazza….
– Sempre esagerata sinti Ntunietta, sine quarche corna a maritusa, pare ca nu ne fiscaa (fischiava) e quindi era na necessità femminile.
– All’anima delle necessità, grazie alle necessità s’ha fatta na casa ca ete lu doppiu de la toa e de la mia mise assieme.
Videro che ero lì ad ascoltare.
Subito Tetta: statte citta Ntunietta, ncete quiddhu ca sta sente tuttu, mo la sape tutta Lecce.
E l’amica: la sannu già, la sannu già.
Poi rivolgendosi verso di me: e mo puru ssignuria ca ta fermatu cu sienti li fatti nesci.
Scusate, buon giorno a voi, era uno scambio di idee interessanti.
E Antonietta: Me sape ca te interessi tantu de li fatti de l’autri…
Andai avanti. Poco più in là mi trovai davanti alla Porta di San Biagio. E c’era Lui, Francesco Santoro, alias Francesco Millelire. Lo conoscevo da quando era un ragazzo, essendo stata sua sorella Nuccia per diversi anni la responsabile della sartoria del nostro negozio di abbigliamento.
Spesso, nelle buie sere invernali, veniva all’ora di chiusura per accompagnarla a casa. Fisicamente era rimasto uguale, l’unica differenza stava nella folta barba bianca e nei capelli lunghi che incastonavano la sua bella faccia, il naso ritto, gli occhi vispi ed indagatori. Come ama dire lui è stato il ‘Re delle discoteche‘, ha vestito i pure panni di Superman con la barba e lunghi capelli bianchi. In suo onore è stata stampata una Mille Lire con il suo volto al posto di quello di Maria Montessori, ma serviva solo per pubblicizzare una nota discoteca, e da allora è stato additato col nome della moneta.
Ci siamo salutati, stava aspettando un amico che doveva passare a prenderlo con la sua auto per andare ad allietare dei bambini disagiati, per rallegrarli, farli sorridere. Era elegantissimo, indossava un abito di fresco di lana, grigio ferro, cravatta azzurra, barba e capelli argentati. Abbiamo ovviamente parlato dei tempi passati e mi ha promesso che sarebbe venuto per la prima presentazione di un mio prossimo libro. Poi è arrivato il suo amico e ci siamo salutati.
Franca sarebbe uscita di li a poco, così mi avviai verso la chiesa.