Leccesi falsi e cortesi, per questo ha vinto Matera. E già si corre per scendere dal carro di Airan

Nel processo su Lecce mancata capitale della cultura europea c’è spazio per tutti gli indizi, ma le prove sono contro la natura dei leccesi, presuntuosi e spesso invidiosi. Oggi tutti giù dal carro di Airan, ma fino a ieri quante acrobazie per salirci.

Ha vinto Matera o ha perso Lecce? La domanda continueranno a farsela in tanti, per ora tutte le opinioni sono buone e valgono allo stesso modo.
Se non si vince, però, non è solo demerito di chi non vince, perché ci sono anche gli altri sul campo, quindi onore ai meriti di Matera. Ma c’è una cosa che non possiamo nasconderci, da leccesi, e cioè la nostra tradizionale inclinazione ad essere disuniti nei momenti decisivi e gelosi delle intuizioni altrui.

Se Lecce avesse vinto il telefono del sindaco della nostra città si sarebbe usurato in poche ore per le telefonate di cortesi felicitazioni, la mano di Paolo Perrone si sarebbe consumata per aver dovuto stringere tutte quelle che l’avrebbero afferrata allo scopo di riversargli addosso mielose congratulazioni. Siccome Lecce ha perso adesso tutti si smarcano e passano sull’altro marciapiede.
Non proprio tutti, perché noi quando scrivemmo che “a Lecce sotto il vestito della capitale della cultura non c’era niente” non è che fossimo ubriachi, anzi, eravamo particolarmente lucidi e sobri.

Lucidissimi nel fare i complimenti a Perrone per la sua geniale intuizione e per aver dato l’idea di entusiasmo e passione che è alla base di ogni grande impresa della Storia. Poi però non è colpa del sindaco se hanno aderito in pochi al sogno di Lecce capitale 2019. Se solo una percentuale da schedina si è fatta irretire da quell’abbozzo progettuale. La colpa è dei leccesi, freddi, calcolatori, profittatori e opportunisti, talvolta lavativi.
E parliamo adesso del girone degli invidiosi, quelli che godono dell’incidente occorso al vicino di casa, quelli che applaudono alle figuracce del compaesano.

C’è una verità nel proverbio “leccesi falsi e cortesi”. Dai, lo sappiamo. Siamo così, con la genetica c’è poco da fare. Il giorno della visita dei commissari tecnici della nazionale europea, scesi dal pulmino come Simon Le Bon e Nick Rhodes, c’erano tanti di quei leccesi falsi e cortesi che erano passati da quelle parti casualmente, proprio quel giorno, proprio a quell’ora.
Quelli che si sono buttati come grizzly sui piatti preparati in via Federico D’Aragona, perché il clima da sagra paesana è a noi irresistibile. Perché quando è gratis “ungime tuttu” e perché se è gratis allora “sono anch’io Lecce 2019”. Poi oggi che ha vinto Matera è mancato il coinvolgimento.
Certo che è mancato. Ma se i leccesi non si fanno coinvolgere nemmeno allo stadio quando il Lecce gioca in serie A, volete che si arrapino per le utopie di Airan Berg, accusato di tutto perché non parla l’italiano?  A Matera parlano la lingua dei briganti e sono contenti, e vincono con il pane nei forni, e i calanchi nudi.
Uniti da una comune sofferenza, e dalla consapevolezza storica di essere gli ultimi d’Italia e per questo più determinati a fare la corsa della vita. Qua da noi, a Lecce, non corre più nessuno.



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