Libero Grassi, ucciso per aver rifiutato di pagare il pizzo alla mafia. Un gesto di coraggio pagato con la vita

Il 29 agosto 1991, l’imprenditore siciliano Libero Grassi fu ucciso con quattro colpi di pistola alle spalle. Aveva rifiutato di pagare il pizzo, sfidando apertamente Cosa Nostra

Ucciso perché aveva rifiutato di pagare il pizzo e per aver denunciato i suoi estorsori. È la storia di Libero Grassi, l’imprenditore siciliano morto per aver avuto il coraggio di ribellarsi, di sfidare la mafia, di dire no alle ‘richieste’ della criminalità organizzata che prendeva di mira i commercianti, costretti a suon di minacce ad aprire il portafoglio, una tantum o per sempre, per avere ‘protezione’, per evitare ritorsioni.

Era il 29 agosto 1991. L’imprenditore stava andando a lavorare a piedi, alle sette e mezza del mattino, quando fu ucciso a colpi di pistola in via Alfieri. Semplicemente perché non aveva voluto calpestare la sua dignità. Il fatto di aver mantenuto la schiena dritta e la testa alta bastava a condannarlo a morte. Quattro colpi di pistola lo hanno fatto tacere per sempre, ma la sua voce aveva squarciato il velo di omertà. Un primo, importantissimo, passo in una strada ancora lunga. Tanto è stato fatto, ma tanto c’è ancora da fare, come insegna la storia.

“Caro estortore…”, la lettera-denuncia

Fu lui stesso a spiegare, in una lettera pubblicata sul Giornale di Sicilia, , all’epoca lo specchio fedele dell’anima della città, i motivi per cui aveva rifiutato a pagare i 50 milioni di lire chiesti da Cosa Nostra.

«Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’ acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui». Si legge.

Il Geometra Anzalone. Era stato lui a chiamare. Una, 10, cento volte per chiedere “offerte” per i picciotti chiusi all’Ucciardone.

Un atto di coraggio che non passò inosservato. Michele Santoro lo invitò a partecipare alla sua trasmissione, Samarcanda, dove Libero Grassi urlò a favor di telecamera che non avrebbe tolto nemmeno un centesimo alla sua azienda di biancheria intima a conduzione familiare per aiutare i mafiosi a sostenere i “carcerati”. «Io non sono pazzo: non mi piace pagare. È una rinuncia alla mia dignità di imprenditore». Questa frase, pronunciata in uno studio televisivo, aveva rotto il muro del silenzio, toccando le corde di chi desiderava giustizia, ma quella voce aveva anche dato fastidio e doveva essere “messa a tacere”. Le lezione di Cosa Nostra non si è fatta attendere.

Come raccontato dalla figlia Alice, il problema non erano i soldi, ma il fatto di non aver rispettato gli “accordi”, un patto tacito che promette sicurezza in cambio di 500 mila lire al mese. «Pagare tutti per pagare meno» era la regola. Suo padre l’aveva infranta, aveva spezzato uno schema che nessuno aveva avuto il coraggio di toccare. Del resto, se nessuno ne parla il problema non esiste. E lui lo aveva fatto, pubblicamente.

Sei mesi dopo la denuncia, Libero era rimasto solo. Come quella mattina, quando fu ucciso.

Il clan mafioso dei Madonia

A premere il grilletto era stato Salvatore “Salvino” Madonia, figlio del boss di Resuttana, arrestato e condannato in via definitiva al 41-bis. Aveva seguito l’imprenditore nascondendo la pistola tra i fogli di un giornale. Al momento giusto ha sparato, colpendolo alle spalle. Fu il complice alla guida della macchina Marco Favaloro, una volta pentito, a ricostruire passo dopo passo l’agguato.

«Prima di ammazzarlo lo pedinai per una settimana per controllare se si spostava in compagnia di qualcuno o se era scortato. Quando fummo certi che usciva sempre da solo, Salvatore Madonia decise di sparargli» ha dichiarato Favaloro che ha raccontato tutto di quel giorno.

«Quando Grassi uscì dal portone, Madonia scese dall’automobile con la pistola nascosta in mezzo a un giornale, gli si avvicinò e sparò tutti i colpi della pistola, quindi rientrò in macchina e fuggimmo».

Il nome di Salvino era noto. Il 26 luglio, fuori dal Carcere grazie ad un permesso di quattro giorni, aveva fatto fuori Giuseppe Savoca. La sua colpa? Quella di aver rapinato con il fratello i tir delle ditte che pagavano regolarmente il pizzo, mettendo così in cattiva luce Cosa Nostra. Armato di pistola e il sella ad una moto guidata da un complice, raggiunse la Passat di Savoca e sparò nove colpi di pistola. Uno raggiunse il figlio di appena quattro anni con lui in macchina.



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