Nel centro storico di Lecce si sente ancora il tintinnio de ‘La Giulia te le chiai’

Ci sono personaggi che hanno fatto la storia di Lecce e del Salento. Volti che è possibile vedere solo su quelle fotografie in bianco e nero ormai sbiadite, da venerare come davanti a un altare votivo carico di candele.

Ci si sono storie che, quando ti vengono raccontate, ascolti senza chiederti se siano vere o soltanto frutto dell’immaginazione. Soprattutto se si tratta di ricordi “pescati” in qualche angolo del passato, che rischia di essere dimenticato. Il Salento è ricco di questi racconti travestiti da favole e leggende, tramandati di generazione in generazione come una specie di preghiera da recitare la sera, sepolti sotto i tolos della memoria ancora viva.

Alcuni scritti, altri rimasti nella mente di qualche anziano che improvvisamente è diventato il custode di un patrimonio di inestimabile valore. Storie che narrano di Dee capricciose, di fate, streghe e folletti, di amori e “macarie”, di pietre e dolmen, di paure ancestrali che i nostri avi hanno domato con la superstizione, con la magia e, perché no, con l’ironia. Basti pensare a “Papa Galeazzo”. L’idea del personaggio di Lucugnano era nata, probabilmente, a danno di un omonimo parroco mal visto dalla povera gente del luogo tanto da essere sbeffeggiato con l’appellativo di “Papa”. Non potendo far valere le proprie ragioni liberamente, fu creata una trasposizione in chiave ironica di un anonimo cittadino in un prete malizioso e bonario, metafora popolare di quello che nella realtà era un inquisitore temuto non al servizio di Dio, ma dei potenti. Tutti conoscono Papa  Galeazzo, eroe popolare che crede in se stesso, capace di sognare e portavoce del malcontento su cui per un po’ cadde il sipario, ma nessuno sa dire se sia realmente esistito.

Ci sono personaggi, invece, che sono diventati leggenda quando erano ancora in vita. O poco dopo la loro morte. Nel centro storico di Lecce, se tendi l’orecchio e chiudi gli occhi, puoi sentire ancora il tintinnio delle chiavi de “la Giulia”. Una vecchia dall’aspetto trasandato che si sentiva “principessa”. Si aggirava spesso tra i vicoli di Porta Rudiae e l’anfiteatro romano con un mazzo di chiavi appese al collo, a suo dire i sigilli d’accesso alla città di Lecce e un fiore in mano a mo’ di scettro.

A chi la incontrava, confidava di averle ricevute in dono dal Principe Umberto di Savoia a cui era promessa come sposa.  Convita di avere con lui appuntamenti segreti durati tutta la vita, raccontava di ricevere le sue visite, di notte, quando andava a trovarla in quel sud dimenticato, travestito da contadino per non farsi riconoscere. Da quell’amore vissuto di nascosto erano nati tre figli, Gabriella Titti, Maria Pia e Vittorio Emanuele. Ed era così che lei chiamava tutti i bambini che le si avvicinavano per strada, incuriositi.

Si dice anche che sotto la veste a fiori lunga sino alle caviglie, non indossasse le mutande. Così quello sguardo “nobile” su quel volto segnato dalle rughe, all’occorrenza diventava improvvisamente “irriverente” e quando qualche ragazzino provava a deriderla, lei rispondeva sollevandosi la gonna e mostrando senza pudore le sue grazie.

Qualcuno l’ha incontrata spesso nei pressi del mercato, vicino alle Poste Centrali, lì dove raccoglieva da terra i moduli bianchi dei conti correnti che esibiva ai passanti come se fossero titoli di stato o certificati di chissà quale eredità ricevuti da casa Savoia.

Alcuni dicono che fosse di nobili origini, altri che aveva soltanto lavorato come serva per conto di alcune famiglie illustri. Si mormorava anche che la sua pazzia era  dovuta ad una causa legale, poi persa.  Quando scomparve davvero, improvvisamente tutti sentirono la mancanza della “Giulia te le chiai“, l’antica custode delle chiavi di Lecce.