Santa Rita da Cascia, la storia della Santa dei casi impossibili

Santa Rita da Cascia è considerata la santa degli “impossibili” perché si ricorre alla sua intercessione nei casi che sembrano disperati. Ecco la sua storia

È invocata nei casi disperati, quelli che sembrano impossibili. Il santuario a lei dedicato, in Umbria, ospita ogni giorni migliaia di fedeli e pellegrini. È forse la Santa più conosciuta al mondo, dopo Sant’Antonio da Padova e San Francesco d’Assisi. È Santa Rita da Cascia che fin da piccola coltivava il desiderio di consacrarsi a Dio.

La storia

Aveva 18 anni, quando sposò Paolo di Ferdinando Mancini. Un matrimonio dettato non dall’amore, ma dall’interesse. All’epoca erano le famiglie a ‘combinare’ tutto. Fu così anche per Margherita, spinta dai genitori tra le braccia di quel giovane ufficiale che comandava la guarnigione di Collegiacone. Un uomo violento, burbero, che non ha reso facile la vita della giovane che sopportò con pazienza, senza mai lamentarsi, ogni maltrattamento. La nascita dei due figli, Giangiacomo e Paolo Maria, forse gemelli, e la determinazione di Rita che aveva sempre risposto alla violenza con la dolcezza cambiarono il carattere del marito. Ciò non bastò a evitare il tragico destino che era stato scritto.

Paolo morì in un agguato, a pochi passi dal mulino di loro proprietà. Un omicidio pianificato probabilmente a causa di un antico rancore mai sanato. Rita – che aveva imparato dai genitori –probi viri, cioè “pacieri”, incaricati di evitare conflitti tra Guelfi e Ghibellini – l’arte del perdono raccolse il marito e ne lavò via il sangue, sperando in tal modo di evitare ai figli la strada della vendetta. Si racconta che pregò Dio affinché chiamasse a sé i figli, piuttosto che vederli diventare assassini, per non vedere le loro mani sporche di sangue.

Non è la storia di una madre che prega per la morte dei figli, ma quella di una donna che vuole salvarli, una credente che pensa che solo con una grande fede è possibile il perdono.

Il prezzo pagato da Rita fu altissimo. Da quel momento ci fu una escalation di violenza. I figli – che volevano vendicare l’assassinio del padre, morirono di peste prima ancora di poter ‘regolare i conti’. Rimasta sola, Rita chiese di entrare nel monastero delle monache agostiniane di Santa Maria Maddalena, a Cascia. Non fu facile assecondare il suo desiderio.

Non fu accettata, ma bussò ancora alla porta. E ancora. Per tre volte fu rifiutata. Si racconta che ad opporsi fu una monaca, parente del marito, rancorosa poiché non fu vendicato. Ce l’aveva con Rita che non era stata capace di lavare il sangue con il sangue.

È a questo punto che storia e leggenda si intrecciano. Si racconta che sia riuscita ad entrare nel monastero nonostante le porte fossero chiuse, aiutata dai suoi santi, Giovanni Battista, Agostino e il già citato Nicola da Tolentino.

Quando al mattino presto le monache, come di solito, si recarono in coro per l’ufficiatura divina, trovarono Rita in preghiera dentro la chiesa. Davanti a quel miracolo le monache che più si opponevano si arresero.
Secondo Cavallucci, la badessa del monastero mise a dura prova la vocazione e l’obbedienza di Rita, facendole annaffiare un arbusto di vite secco, presente nel chiostro del monastero. Il legno, dopo un po’ di tempo, riprese vita e dette frutto.

Un venerdì Santo, una spina della corona del Crocifisso dinanzi cui stava pregando le si confisse in fronte.

La rosa

Alla fine dei suoi giorni, malata e costretta a letto, Rita chiese a una sua cugina venuta in vista da Roccaporena di portarle due fichi e una rosa dall’orto della casa paterna, per farne dono alle consorelle. Ma siamo in inverno e la cugina la asseconda, pensandola nel delirio della malattia. Tornata a casa, la giovane parente trova in mezzo alla neve una rosa e due fichi e, stupefatta, subito torna a Cascia per portarli a Rita.

Morì il 22 maggio del 1457. Secondo alcuni studiosi nel 1447.



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