Scommesse. Si rivolge al Tar contro lo stop, ma ‘perde’: “doveroso chiudere le sale troppo vicine alle scuole”

Il Tar Puglia ha respinto il ricorso del titolare di una sala di Gallipoli, a cui il Comune aveva ordinato lo stop dell’attività per la violazione del “distanziometro” (500 metri) previsto alla legge regionale.

È «doveroso» da parte dei Comuni chiudere i centri scommesse che non rispettano le distanze minime dai luoghi sensibili come scuole, chiese e ospedali. Lo ha ribadito il Tar Puglia nella sentenza con cui ha respinto il ricorso presentato dal titolare di una sala di Gallipoli a cui il Comune aveva ordinato lo stop dell’attività proprio per aver violato da “distanza” di cinquecento metri, imposta dalla legge regionale.

Tant’è che nella sentenza si legge: «l’ordine di cessazione immediata dell’attività medesima è provvedimento vincolato e doveroso in mancanza della distanza minima di cinquecento metri dai luoghi sensibili».

Come riporta Agipronews, secondo i giudici «non è stata adeguatamente dimostrata» l’argomentazione del ricorrente secondo cui, la distanza di 500 metri, impedirebbe l’apertura di sale scommesse in tutta (o quasi) la Città Bella.

«Le disposizioni regionali si basano su di un ragionevole bilanciamento di interessi costituzionalmente rilevanti – continuano i giudici – non incidendo direttamente sulla individuazione e sulla installazione dei giochi leciti, bensì su fattori (quali la prossimità a determinati luoghi e la pubblicità) che potrebbero indurre al gioco un pubblico costituito da soggetti psicologicamente più vulnerabili o immaturi».

Il Tar ha ricordato che anche la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità della legge regionale: «Le disposizioni sui limiti di distanza imposti alle sale da gioco dai luoghi sensibili sono dirette al perseguimento di finalità di carattere socio-sanitario e sono riconducibili, principalmente, nell’ambito della materia della tutela della salute, rientrante nella competenza legislativa concorrente Stato – Regione. Eppure, in Puglia come in altre regioni italiane i gestori hanno promesso battaglia inondando i tribunali amministrativi di ricorsi contro la “distanza di sicurezza”.



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