Vittorio Bodini, il poeta che ha fatto conoscere il Sud

Il 19 dicembre 1970 moriva a 56 anni il poeta Vittorio Bodini, ritenuto unanimemente uno dei più raffinati interpreti e traduttori della letteratura spagnola

«Tu non conosci il Sud, le case di calce da cui uscivamo al sole come numeri dalla faccia di un dato». È un verso de La Luna dei Borboni, una delle opere più conosciute di Vittorio Bodini, poeta di peso e fine traduttore scomparso il 19 dicembre 1970, stroncato da un tumore a 56 anni. La sua traduzione del Don Chisciotte di Miguel de Cervantes è ritenuta dai critici la migliore esistente.

Per molti anni, il nome di Bodini è stato “dimenticato”. Non si studia a scuola, raramente viene citato tra gli scrittori del Novecento, ma basta rileggere i suoi scritti per scoprire tutte le sfumature di una terra amata e odiata, raccontate in modo unico. Anche altri poeti, come Salvatore Quasimodo, avevano parlato del Sud, della “questione meridionale”, ma Bodini lo aveva “inventato” come rivendicò in una lettera a Oreste Macrì, datata “Lecce, 1 febbraio 1950”. “Ora questo Sud è mio; come le mie viscere; io l’ho inventato”, scrive.

Dal rapporto con il suo paese “così sgradito da doverlo amare” alla ricerca delle radici, soprattutto dopo la sua permanenza in Spagna, dove si trattiene dal novembre del 1946 all’aprile del 1949, dell’identità del Salento che ha avuto il merito di inserire nella “geografia” letteraria del Novecento italiano.

Il rifiuto della sua città e della sua terra

In un articolo del 1932, lo scrittore appena 18enne parla del suo desiderio di fuggire da Lecce:Noi viviamo nella più provinciale delle città di provincia, in una bassa servilità a tradizioni che esorbitano dai nostri limiti di sopportazione, rinchiusi come perle nell’ostrica d’un campanile una chiesa barocca una piazza con relativi caffè e colonna un giardino pubblico cinematografi, roba che non considero per il suo valore in sé e per sé, ma piuttosto come simboli della giornata provinciale, precisamente uguale alla successiva ed alla precedente”. Il rifiuto della sua città e della sua terra continua anche durante gli anni trascorsi a Firenze, tra il 1937 e il 1940.

M’ero lasciato dietro Lecce ancora troppo giovane e pieno di polemiche contro la immobilità della sua vita, e ora mi ero posto per intero dalla parte di Firenze, accettando il rozzo errore che la prima fosse una forma sbagliata rispetto alla seconda – e in questo errore concorreva non poco quella che era la cultura in auge (il crocianesimo?) di quei tempi; mi ci volle non poco tempo per rendermi conto che si trattava di due ipotesi altrettanto motivate e legittime dell’universo”, scrive.

Il Sud al centro del suo interesse umano e letterario

Sono i primi anni 50, dopo la tragedia della seconda guerra mondiale e la permanenza in Spagna, Bodini inizia a ‘scavare’ nella storia, nei costumi, nella cultura popolare, nella religiosità e nelle tradizioni del Salento rimaste immutate per secoli. Voci antiche, ma ancora vive. Chi legge i suoi testi scopre paesaggi, abitudini, usanze: la piazza del paese, le chiese barocche, le campagne con gli ulivi millenari.

Indimenticabile la poesia su Cocumola. “Un paese che si chiama Cocumola, è come avere le mani sporche di farina e un portoncino verde color limone. Uomini con camicie silenziose fanno un nodo al fazzoletto per ricordarsi del cuore. Il tabacco è a secare, e la vita cocumola fra le pentole dove donne pennute assaggiano il brodo”.

Bodini racconta il Sud attraverso le sfumature della parola, utilizza un tempo lento che restituisce un’immagine ricca di dettagli dalle tinte pastello.

La poesia si fa canto, un canto malinconico che fa danzare i ricordi e le immagini. Il sud di Bodini è un sud in cui la memoria ha voci antiche, ma penetranti. Un sud ora conosciuto.

Muore a Roma a soli cinquantasei anni, il 19 dicembre 1970, stroncato da un tumore. I suoi resti riposano nel cimitero monumentale di Lecce



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