​Riti voodoo per costringere le ragazze a prostituirsi fino a saldare il debito e liberare l’anima

Utilizzando riti voodoo hanno costretto le giovani ragazze nigeriane a prostituirsi fino a quando non avrebbero saldate il debito contratto con il trafficante e liberato così la loro anima. I dettagli dell’Operazione Nigeria che ha portato all’arresto di cinque persone.

Un viaggio lungo dalla Nigeria all’Italia alla ricerca di una nuova vita, ma chi riusciva a sopravvivere ad ogni tipo di crudeltà, anche la più inimmaginabile, doveva fare i conti con una realtà ben diversa da quella sognata: nessun lavoro ‘lecito’ ad attenderle sulla terraferma, una volta raggiunta la costa, le ragazze nigeriane – tutte tra i 14 e i 20 anni –  erano costrette a vendere il proprio corpo fino a quando non avrebbero saldato il debito contratto con i loro trafficanti. Solo così sarebbero state finalmente libere da quei riti voodoo che le avevano condannate alla schiavitù.
  
Come nel vaso di Pandora, una volta aperto il coperchio, tutti i mali si sono riversati nel mondo. È accaduto questo nell’operazione «Nigeria» che ha portato all’arresto di cinque cittadini nigeriani, tre donne e due uomini, con accuse pesantissime: associazione finalizzata alla riduzione in schiavitù a fini sessuali, tratta di persone, favoreggiamento dell’immigrazione in stato di clandestinità e sfruttamento della prostituzione.  
  
Tutto è nato a marzo 2016 dalla denuncia di una donna nigeriana: la poveretta aveva raccontato ai carabinieri di Lecce che la figlia piccola, rimasta nel più popoloso paese dell’Africa occidentale, era stata prelevata con la forza dal collegio dove studiava e alloggiava. A muovere i fili del sequestro, secondo la sua testimonianza, era stata un’organizzazione criminale che “sceglieva” giovani nigeriane da inserire nel mondo della prostituzione. Per la sua liberazione, i “carcerieri” avevano chiesto un riscatto di 30mila euro. La ragazza, in realtà, aveva deciso spontaneamente di salire su un barcone per raggiungere la sua famiglia affidandosi all’organizzazione criminale, ma il coraggio di questa mamma ha permesso alle forze dell’ordine di fare luce sulle attività di queste persone senza scrupoli, che trattavano le donne alla stessa stregua di una merce su cui speculare.
  
Il meccanismo utilizzato contava su diversi ingranaggi, tutti perfettamente funzionanti. Come hanno permesso di ricostruire le comunicazioni intercettate tra i presunti rapitori e la mamma c’erano le basi logistiche, nelle città di Sebha, Sabratha e Tripoli in Libia, c’erano le bande criminali locali o di altre nazionalità che dovevano gestire le vittime destinate allo sfruttamento e c’era chi si occupava dei flussi migratori clandestini attraverso rotte di viaggio già collaudate. E tutto aveva un prezzo, altissimo, da pagare.
  
Al momento sono 16 le vittime accertate, ma potrebbero essere molte di più. Tre, invece, sono quelle che hanno deciso di parlare.
  
Le fasi del drammatico viaggio: solo chi sopravviveva, raggiungeva l’Italia.
Tutto aveva inizio con il reclutamento in loco: l’organizzazione in Italia aveva dei referenti in Nigeria a cui si affidava per scegliere le ragazze in base a criteri quasi scrupolosi: la bellezza e l’età, ovviamente, ma anche la verginità erano caratteristiche talmente importanti da dover essere documentate con fotografie. Scatti che trasformavano le poverette in ‘figurine’ di un album tra cui scegliere.
  
Poi iniziava il viaggio, drammatico. Chilometri e chilometri percorsi su camion, a piedi e persino in bicicletta attraverso il Niger fino alla Libia, dove i migranti venivano ammassati in edifici fatiscenti, sorvegliati da uomini armati al soldo delle varie organizzazioni criminali. Era già un ‘miracolo’ essere arrivati in una delle città libiche. Le donne più deboli venivano abbandonate nel deserto, senza pietà, o lasciate morire. C’era l’ordine perentorio, infatti, di abbandonare nella savana l’eventuale passeggero che, stremato dalla stanchezza, non riusciva a continuare il viaggio. Ma è nel posto dove venivano richiuse in attesa della traversata che avvenivano le atrocità peggiori ad opera di squadre di “ribelli” armati che li utilizzavano come “merce di scambio”: umiliazioni psicologiche, violenze fisiche e sessuali in cambio del cibo e, a volte, persino della loro vita. Il racconto di chi è riuscito a farcela fa capire tutte le difficoltà del viaggio e soprattutto l’incubo vissuto.
  
Infine l’arrivo in Italia: le vittime venivano prelevate dai centri di accoglienza con una ‘scusa’, fornendo anche documenti falsi, accompagnate verso la destinazione finale e consegnate nelle mani della “Madame”, spesso ex prostitute che avevano fatto ‘carriera’, che avviano le poverette all’attività di meretricio, controllando costantemente la loro condotta anche con mezzi coercitivi.
  
I riti voodoo con cui venivano costrette a prostituirsi:
Le ragazze, spesso, erano consapevoli della loro sorte. Erano sottoposte, infatti, a riti “voodoo” già nel momento in cui decidevano di affidarsi all’organizzazione criminale per intraprendere il lungo viaggio dal loro paese d’origine. Le vittime, legate psicologicamente da una sorta di “obbligo spirituale”, si attenevano fedelmente agli ordini impartiti dai loro sfruttatori, per evitare eventi nefasti, conseguenze pericolose anche per la propria famiglia. I riti “voodoo” venivano effettuati da persone chiamate “Native Doctor” o, in gergo, “Babalawoo” in presenza della donna o anche in sua assenza, tramite l’utilizzo di un’immagine dell’interessata.
  
Giunte in Italia, come detto, le ragazze passavano sotto il controllo delle “Madame”, che utilizzando altri riti, violenze fisiche e intimidazioni, costringono le loro ‘protette’ a vendere il proprio corpo per raccogliere il denaro necessario a saldare il debito contratto con i trafficanti. Solo con l’estinzione di questo debito, le donne sfruttate potevano “liberare” la propria anima dal vincolo spirituale le legava agli sfruttatori.
  
Il costo del viaggio
Tutto aveva un prezzo, e costava anche caro. Le transazioni venivano effettuate in contanti o utilizzando il money transfer. Un volume d’affari ingentissimo, considerato che la somma che ogni migrante si impegna a versare per il viaggio si aggirava dai trentamila ai trentacinquemila euro, versati in più tranche per coprire le spese di trasporto ed il loro irrisorio sostentamento: un primo acconto veniva versato per il trasferimento dalla Nigeria alla città libica di Sabha; un secondo acconto era pagato per il trasferimento da Sabha a Tripoli. In alcuni casi, il saldo finale avviva prima dell’imbarco, in altri casi, in particolare per le donne avviate alla prostituzione, il pagamento del saldo – in genere la parte più consistente della somma – avveniva a destinazione attraverso la rifusione dei guadagni dell’attività di meretricio dai quali venivano detratte le spese sostenute dalle Madame per il vitto e l’alloggio delle vittime, con il conseguente aumento del periodo di sfruttamento originariamente a loro prospettato.
  
Alla fine, i Carabinieri del ROS e del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Lecce hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal GIP di Lecce su richiesta locale Procura Distrettuale Antimafia, nei confronti di 5 cittadini nigeriani – tre donne e due uomini – indagati come detto per associazione finalizzata alla riduzione in schiavitù a fini sessuali, tratta di persone, favoreggiamento dell’immigrazione in stato di clandestinità e sfruttamento della prostituzione. Gli interventi hanno interessato le province di Verona, Sassari e Roma e sono stati eseguiti nell’ambito di un’attività che vede coinvolti altri nove cittadini nigeriani indagati sul territorio nazionale.



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