Caso Gregorio Durante, attesa domani la sentenza. Virginia: “chiedo giustizia per mio marito che sta sottoterra”

Attesa per domani la sentenza del processo di Appello per la morte di Gregorio Durante, il giovane neretino trovato senza vita nel carcere di Trani. La moglie Virginia chiede giustizia: “chi ha sbagliato, deve pagare per le sue colpe”

«Chiediamo giustizia per un ragazzo di 33anni che ora è sottoterra». C’è rabbia nelle parole di Virginia Marzano, moglie di Gregorio Durante, il giovane neretino morto nel carcere di Trani, il 31 dicembre del 2011.

La donna, divisa tra la speranza di ottenere finalmente la verità e il timore di non riuscire a chiarire che cosa sia accaduto veramente in quella maledetta cella del penitenziario barese non riesce a nascondere i segni di una battaglia che dura, ormai, da sei lunghi anni. Una battaglia che ha combattuto da sola per difendere la memoria del suo compagno di vita.

«Se è vero che la legge è uguale per tutti, chi sbaglia deve pagare» ha raccontato la donna a Leccenews24 alla vigilia della sentenza del processo di Appello che scriverà la parola fine su un caso che, per molti aspetti, ricorda quello di Stefano Cucchi.

Non ha dubbi, Virginia: il padre dei suoi figli non è stato curato come meritava, nonostante le sue condizioni di salute.

Il 33enne soffriva di crisi epilettiche associate a crisi psicomotorie a causa di un’encefalite contratta nel 1995, quando aveva 17 anni. Una malattia tenuta sotto controllo grazie ad una terapia adeguata che, stando a quanto raccontato, sarebbe stata bruscamente interrotta una volta entrato nel penitenziario di Trani. Non solo, ai familiari non è stato consentito di portare i farmaci dall’esterno.

«Lo hanno lasciato morire da solo» ripete la donna, ricordando quando il marito fu rinchiuso in isolamento per tre giorni con l’accusa di aver inventato la malattia per ottenere un permesso.

Ufficialmente il 33enne è morto per una «crisi respiratoria dovuta ad un’intossicazione da ‘fenorbital’, farmaco comunemente utilizzato per il trattamento dell’epilessia, agevolata dalla presenza di broncopolmonite», ma il prof. Francesco Introna, consulente dei 3 medici imputati è convinto che ci sia una terza causa: una patologia cardiaca mai rilevata prima ma evidenziata dall’esame dei vetrini dei reperti istologici. Una tesi respinta dalla famiglia secondo cui le condizioni di salute del 33enne erano incompatibili col regime carcerario. Insomma, in carcere Gregorio non ci doveva stare.

Il figlio di Pippi, il boss accusato di aver ucciso il primo aprile del 1984 Renata Fonte, stava scontando una condanna a 6 anni di reclusione per uno schiaffo che, pur essendo in regime di sorveglianza, aveva dato al figlio di un agente di polizia penitenziaria nel corso di un diverbio.

«Giuseppe sta pagando il suo conto con la giustizia, suo figlio non può farlo. Vogliamo solo la verità» ha dichiarato Virginia ricordando, passo dopo passo, questi anni passati a chiedere giustizia. Una giustizia che non è stata ottenuta durante il processo di primo grado, concluso con una condanna a 4 mesi, col beneficio della pena sospesa, il dirigente sanitario del carcere di Trani. Gli altri quattro imputati, tutti medici, furono assolti.



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