
Avrebbero ricattato, dopo averla licenziata, la cassiera di un supermercato chiedendole di restituire una somma di denaro per tornare a lavorare. Il collegio della prima sezione (Presidente Roberto Tanisi) ha condannato il titolare S.G., 62enne di Minervino di Lecce ed il socio D.L., 66 anni, alla pena di 3 anni e 4 mesi ciascuno, con le attenuanti generiche per un solo episodio di estorsione. Per l’altro caso, gli imputati sono stati assolti, “perché il fatto non sussiste”.
Il Tribunale ha inoltre disposto una provvisionale di 10mila euro in favore della vittima di estorsione, parte civile con l’avvocato Mario Ingrosso. Il risarcimento del danno sarà quantificato in separata sede.
Non solo, poiché il collegio ha applicato agli imputati la pena accessoria dell’ interdizione dai pubblici uffici per 5 anni. I giudici hanno disposto la restituzione degli atti al pm per falsa testimonianza, in relazione alla deposizione in aula di un teste.
I due imputati sono difesi dagli avvocati Luigi Corvaglia e Luigi Covella che, una volta depositate le motivazioni della sentenza, presenteranno ricorso in Appello.
Il pm Maria Vallefuoco ha, invece, chiesto l’assoluzione per entrambi gli imputati.
L’inchiesta
Secondo il pm Carmen Ruggiero che ha coordinato le indagini dopo la denuncia della vittima di estorsione, S.G. titolare di una nota catena di supermercati ed il socio D.L. avrebbero ricattato una 42enne leccese, cassiera di un esercizio commerciale leccese. In che modo? Dicendole che se avesse voluto ritornare a lavorare avrebbe dovuto restituire le somme erogate (circa 2.400 euro) a titolo di trattamento di fine rapporto. Non solo, poiché avrebbe dovuto sottoscrivere un verbale di conciliazione sindacale da loro proposto.
I due imputati, inoltre, avrebbero minacciato la 42enne leccese, dicendole che se non avesse recuperato le ore di assenza, dovute ai permessi previsti dalla legge 104/92 (assisteva il padre malato), l’avrebbero licenziata. Dunque, la cassiera sarebbe stata costretta a recuperare le suddette ore, senza essere retribuita. Questa accusa, come detto, è “caduta” al termine del processo.