Dopo l’incidente in Austria, i giornali screditano la battaglia contro il gasdotto Tap

Dopo l’esplosione nell’impianto di distribuzione del gas di Baumgarten, in Austria sembra che la realizzazione del gasdotto Tap sia, ora più che mai, strategica.

La «zona rossa» costruita per proteggere il cantiere, dove sono in corso i lavori per la realizzazione del gasdotto, non sarà più off-limit. Dalla mezzanotte è scaduta l’ordinanza con cui il Prefetto di Lecce, Claudio Palomba, aveva creato una zona cuscinetto, dove era impossibile entrare. L’ingresso era autorizzato solo a chi aveva richiesto e ottenuto il pass dalla Questura.

Sono passati trenta giorni e, forse un po’ a sorpresa, il provvedimento non è stato rinnovato. La recinzione di blocchi di cemento e i cancelli saranno, piano piano, smantellati. Resterà solo il cantiere nelle campagne di San Basilio, dove la multinazionale svizzera dovrà costruire il pozzo si spinta, nel quale verrà calata la macchina che scaverà il microtunnel.

Intanto non si placano le ‘polemiche’ all’indomani dell’esplosione avvenuta nell’impianto di distribuzione di gas di Baumgarten an der March, in Austria, uno dei principali hub europei che porta gran parte del metano in Italia. Pesante il bilancio: un morto e 22 feriti.

L’incidente ha fatto scattare lo stato di emergenza, un provvedimento automatico quando viene a mancare, anche per poco tempo, una linea di rifornimento. Insomma, l’interruzione temporanea delle forniture dalla Russia – durante la quale si è attinto a una piccola parte delle riserve strategiche di gas – ha ‘costretto’ il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ad attivare la procedura. Costretto perché se avessimo avuto la Tap la situazione sarebbe stata diversa. Così ha dichiarato.

Le preoccupazioni, legittime, hanno ricordato a tutti che l’Italia non è un paese autonomo dal punto di vista energetico. Una constatazione che rischia di ‘screditare’ la battaglia che si sta combattendo a Melendugno, come dimostrano alcuni titoli di giornali.

«L’esplosione del gasdotto in Austria dimostra che l’Italia ha bisogno del Tap» titola ilFoglio. «L’incidente è un chiaro segnale di cosa vuol dire mettere al sicuro i nostri approvvigionamenti di gas, che dipendono in buona misura – circa il 40 per cento – da un unico fornitore, la Russia. Diversificare le fonti da cui ci riforniamo – si legge nell’articolo a firma di Maria Carla Sicilia – è il primo passo per mettere al sicuro il sistema energetico e in questo senso aprire i rubinetti di un corridoio sud appare più che ragionevole: il gasdotto Tap, che trasporta gas azero, è evidentemente un nuovo e importante punto di ingresso dalla cui messa in funzione l’Italia può solo guadagnare in termini di sicurezza».

Più pesante ilSole24ore. «Da sudditi del gas a padroni del nuovo hub europeo? Si può fare» scrive. «Allarme subito rientrato – si legge nel pezzo di Federico Rendina – ma guai a non cogliere il triplo messaggio che ci regala l’ultima e fortunatamente brevissima crisi degli approvvigionamenti di gas. Messaggio numero uno: il gas è, rimane, e rimarrà ancora per lunghi anni, la fonte primaria per soddisfare il nostro fabbisogno energetico. Due: siamo il paese d’Europa che più dipende dall’import di idrocarburi». Ma più importante è il messaggio numero tre: «Perché allora non rivitalizzare un progetto ambizioso ma realistico, messo in campo qualche anno fa quando sembravano esserci dei migliori condizioni e poi assopito dalla crisi che ha depresso i consumi anche di metano? Parliamo dell’Italia hub continentale del gas, pronta a incrementare le sue infrastrutture ben oltre le sue esigenze interne. Perché si tratterebbe non di infrastrutture di sola importazione bensì di interconnessioni votate anche (e soprattutto) al transito. Se guardiamo bene alle nuove rotte metanifere che si vanno formando nello scacchiere planetario il progetto rimane attualissimo. Potrebbe dare preziosa dignità aggiuntiva non solo al costituendo (con gli sconcertanti ostruzionismi agli onori delle cronache quotidiane) gasdotto Tap, destinato a captare attraverso la Puglia il nuovo gas dell’Azerbaigian». 

Parole diverse, ma stesso concetto nell’articolo de Il Corriere Della Sera. «Nel caso di un’interruzione prolungata (e non sarebbe il caso di Baumgarten) ci sono parecchie carte da giocare: massimizzare l’import dalle altre vie e la produzione nazionale, spingere sugli stoccaggi, ma anche mettere in funzione i vecchi impianti per l’energia elettrica che non usano il gas (si inquina di più ma si risparmia combustibile). Al limite estremo abbassare un po’ le temperature (è già accaduto nel 2007) e staccare qualche utenza industriale. In attesa che passi l’inverno. In attesa magari del Tap, il gasdotto dall’Azerbaigian così contestato ma anche così “strategico”».

«Potete tenere il riscaldamento acceso» titola ironico ilPost, «Adesso ci attacchiamo al gas» ironizza un altro. Ma anche il Giornale non ‘sposa’ la battaglia contro Tap: «In questi anni, abbiamo visto più gasdotti tracciati sulla carta e presentati al pubblico che tubi veri depositati sul terreno e collegati fra loro. Perché nel mercato del gas diventano critiche le altalene diplomatiche fra la Russia e diversi Stati europei, i problemi interni di ciascuno Stato aggiunti a quelli che possono creare tutti gli altri attraversati dai tubi. Dall’Ucraina, sempre ai ferri corti con la Russia, alla Polonia, terreno di conquista della Nato, alla Turchia, nemica o amica a seconda delle convenienze. Da parte nostra, oltre a non poter prendere impegni sulla stabilità del governo e tanto meno offrire garanzie che il prossimo non ribalti tutti gli accordi in essere, abbiamo il problema insormontabile di 124 piante di ulivo che sbarrano la strada all’arrivo del gasdotto Tap in Puglia. Dopo l’emergenza di oggi – in cui l’interruzione di un solo nodo ha rischiato di mettere in crisi tutta l’infrastruttura – ci si augura che il prossimo governo possa mettere da parte qualche pregiudizio e affrontare seriamente la questione energia».

Insomma, girovagando tra le news di Google è veramente arduo trovare un articolo che dia ragione alla ‘guerra’ che buona parte del Salento sta combattendo per difendere il suo territorio.



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