«Siamo lontani dagli “affari” della nostra famiglia». I Coluccia, padre e figlio, finiti nei guai nell’operazione «offside» hanno risposto alle domande del Gip, Giovanni Gallo durante l’interrogatorio di garanzia, fornendo la propria versione dei fatti. Danilo Pasquale, ascoltato dal carcere di Borgo San Nicola alla presenza del suo avvocato, Luigi Greco, ha negato l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso affermando di non avere rapporti con gli zii e di essersi sempre dissociato da quella parte di famiglia che ha conquistato il controllo del territorio a suon di intimidazioni e minacce. Tant’è che anche a loro è stato contestato dalla Procura, in un’altra inchiesta, il 416 bis.
Tuttal’al più, si sarebbe limitato a esibire il “pesante” cognome per ostentare potere, dinanzi a i suoi interlocutori.
Parole che smentiscono quelle contenute nell’ordinanza. Dialogando con un amico calciatore all’interno della sua Mercedes, Danilo, ignaro di essere intercettato, aveva paragonato la frazione di Noha a Casal di Principe, regno e roccaforte del clan dei Casalesi. Vista la “caratura criminale”, infatti, alcuni cittadini, vittime di furti, si rivolgevano a loro per chiedere la ‘restituzione’ degli oggetti rubati o, in alternativa, una somma in denaro come ‘risarcimento’ per il danno subito. Nessuna denuncia, come dimostrano le intercettazioni, ma una semplice richiesta al clan che si sostituisce allo Stato per ottenere giustizia. A questo, si aggiunge l’attività di recupero crediti o di protezione degli imprenditori.
Per quanto riguarda l’accusa di frode sportiva, anche in questo caso il 38enne ha negato gli addebiti, sottolineando che non ci sono mai state dazioni di denaro per pilotare la partite. Anche in questo caso, nell’ordinanza c’è un’intercettazione che dice il contrario. Una persona (non identificata) ha chiesto al 38enne il suo ruolo nella società “A.S.D. Pro Italia Galatina” e lui ha risposto “Il padrone, il padrone…sulla carta non puoi figurare se no ci uccidono”, riferendosi alle eventuali azioni che la Procura avrebbe potuto intraprendere nei loro confronti.
Anche papà Luciano, l’unico dei cinque fratelli che hanno dato il nome ad uno dei gruppi più temibili della Sacra Corona Unita, rimasto incensurato, ha risposto alle domande del giudice. Accompagnato nell’ufficio del gip, dal suo avvocato Luigi Greco, si è difeso affermando come non ci sia mai stata alcuna combine per le partite del Galatina. Egli risponde solo dell’ipotesi di reato di frode sportiva.
Secondo l’accusa, però, papà e figlio avrebbero “comprato” alcune partite per permettere alla loro squadra di calcio di conquistare la promozione. «Dalle intercettazioni – si legge nell’ordinanza – emerge come Luciano Coluccia, con il concorso del figlio, prima di importanti partite si attivava per influenzare il risultato del campo»
«Ciò che emerge è un quadro davvero inquietante della gestione dell’andamento sportivo delle partite di calcio e del campionato. E ciò che appare essere ancor più preoccupante è la assoluta “tranquillità” con la quale vengono presi accordi a perdere o a vincere singole partite, come se fosse normale in una competizione sportiva».