Non risponde alle domande del giudice, Michele Aportone, 70anni di San Donaci, accusato delll’omicidio dell’ex maresciallo Silvano Nestola, avvenuto la sera del 3 maggio scorso a Copertino. L’arrestato si è avvalso della facoltà di non rispondere, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, che si è svolto in modalità da remoto, davanti al gip Sergio Tosi, il quale aveva firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Erano collegati, oltre al giudice, i pubblici ministeri Alberto Santacatterina e Paola Guglielmi e dal carcere, anche il difensore di Aportone, l’avvocato Francesca Conte.
Il legale ha già preannunciato che nei prossimi giorni, una volta lette attentamente le carte dell’inchiesta, la difesa chiederà l’interrogatorio davanti ai pm.
Michele Aportone risponde del reato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi.
Le indagini
È stata proprio la vita privata di Nestola la chiave di lettura per risolvere l’omicidio. L’ex carabiniere, dopo essersi separato dalla moglie, aveva iniziato dall’estate scorsa una relazione con la figlia di Michele Aportone, anche lei separata. Tale relazione non era vista di buon grado ed era stata fortemente osteggiata dal padre e da sua moglie, Rossella Manieri, che vedeva in Silvano il responsabile della separazione della figlia dal marito.
Addirittura i genitori avevano attivato un Gps che veniva utilizzato per monitorare gli spostamenti della figlia. Per gli inquirenti si trattava di un’autentica ossessione.
A corroborare i riscontri dei carabinieri, le immagini di un sistema di videosorveglianza installato in una zona non distante dall’area sosta camper “Santa Chiara“ (di cui Michele Aportone risulta titolare) che ritraggono l’uomo a bordo del suo Fiat Ducato alle ore 19.30 circa del 3 maggio, giorno in cui viene ucciso Silvano Nestola. Il 70enne esce per raggiungere l’abitazione di Copertino; le immagini, successivamente lo riprenderanno anche al rientro in quella stessa area camper alle ore 22.30 circa, evidentemente dopo aver consumato l’omicidio.
Per i militari dell’Arma, Aportone non avrebbe compiuto il tragitto verso casa della sorella dell’uomo che aveva intenzione di uccidere a bordo sempre del furgone. Le risultanze investigative avrebbero evidenziato come, ad un certo punto, dopo aver lasciato il furgone nei pressi di una carrozzeria di Leverano, l’uomo aveva proseguito il percorso a bordo di un ciclomotore che evidentemente aveva dapprima caricato sullo stesso furgone.
Questo mezzo era stato poi ritrovato bruciato, proprio nei pressi dell’area camper gestita da Michele Aportone, il quale si era preoccupato di distruggerlo al fine di occultare le tracce della sua colpevolezza.
