L’omicidio di Massimo D’Antona, una morte firmata dalle Nuove Brigate Rosse

Era il 20 maggio 1999, quando il giuslavorista Massimo D’Antona fu ucciso a pochi passi dalla sua abitazione a Roma. A rivendicare l’omicidio furono le Nuove Brigate Rosse

20 maggio 1999. Le lancette dell’orologio avevano da poco segnato le 8.00, quando Massimo D’Antona fu ucciso a pochi passi della sua abitazione in via Salaria a Roma. A fissare al professor l’appuntamento con la morte erano state le Nuove Brigate Rosse, un nome che ricorda il gruppo terroristico responsabile di alcuni dei crimini più drammatici della storia italiana, tra cui il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro.

Stando a quanto ricostruito, ad avvicinare il consulente del Ministro del lavoro Antonio Bassolino erano stati un uomo e una donna. Qualche parola, forse per essere sicuri di non sbagliare bersaglio, poi gli spari. Nove colpi di pistola, una semiautomatica calibro 9×19 senza silenziatore, che andarono tutti a segno. Il killer aveva svuotato il caricatore, ma il colpo di grazia fu quello al cuore. Il professore cade, all’incrocio con via Adda. Un’ora dopo, alle 9.30, è stato dichiarato morto. Aveva 51 anni.

Chi poteva volere la morte del giuslavorista? La rivendicazione

Nella lettera in cui le Nuove Brigate Rosse hanno rivendicato l’agguato – un documento di 14 pagine stampate fronte retro, con tanto di stella a cinque punte – D’Antona è stato descritto come un simbolo della Borghesia e come uno dei responsabili dei cambiamenti che in quegli anni stavano avvenendo nel mondo del lavoro.

Nel 1997, quando era segretario del principale partito di sinistra, disse che era arrivato il momento di togliere alcuni diritti a una parte dei lavoratori per dare più diritti a tutti gli altri. Negli anni successivi una serie di leggi, a partire dal famoso “pacchetto Treu”, introdusse le norme che disciplinavano la flessibilizzazione del lavoro e introducevano le prime forme di precariato.

Secondo magistrati e investigatori, le Nuove Brigate Rosse scelsero D’Antona soprattutto perché era un bersaglio facile da colpire.

Tre anni dopo, il 19 marzo 2002, il gruppo uccise il professor Marco Biagi, l’ultimo obiettivo che le Nuove Brigate Rosse riuscirono a colpire. Sta rientrando a casa in sella alla sua bici, quando davanti al portone della sua abitazione, al civico 14, incontra i suoi assassini. Sono in tre. Due indossano caschi integrali e attendono su un motorino di colore scuro. Il terzo è in piedi e ha il volto scoperto. In questo casi i colpi sono cinque.

La fine del killer

Mario Galesi – l’uomo che aveva sparato e ucciso Massimo D’Antona – e la sua compagna di viaggio, Nadia Desdemona Lioce – una dei leader del nuovo gruppo terroristico presente sulla scena sia dell’omicidio D’Antona che di quello Biagi – furono fermati dalla Polizia sul treno Roma-Firenze per un normale controllo. Presi dal panico cominciarono a sparare contro gli agenti. Galesi fu ferito e morì poche ore dopo in ospedale. Nadia Desdemona Lioce, il capo del commando, sta scontando l’ergastolo nel regime particolarmente duro del 41bis. Quel giorno, fu ucciso anche il sovrintendente di polizia Emanuele Petri, che aveva chiesto loro i documenti.



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