Papà Guglielmo è morto senza conoscere la verità sull’omicidio di sua figlia Serena Mollicone, trovata senza vita nel boschetto di Fontecupa. Un padre-coraggio che ha lottato per dare un volto e un nome all’assassino o agli assassini della studentessa di Arce. Con la dignità che lo ha sempre contraddistinto, anche quando durante i funerali fu costretto ad allontanarsi per raggiungere la Caserma come ‘sospettato’, non si è mai arreso per risolvere un mistero che dura da quel lontano 1º giugno 2001.
Le ultime ore di vita di Serena Mollicone
Lunghi capelli castani, sorriso gentile, la 18enne di Arce, un paese di settemila anime in provincia di Frosinone, frequentava l’ultimo anno del liceo socio-psico-pedagogico “Vincenzo Gioberti” di Sora. Il giorno in cui scomparve nel nulla avrebbe dovuto preparare la tesina per la maturità. L’argomento? Una cinquantina di pagine scritte sul campo, andando a spulciare carte e a contattare quanti avevano avuto modo di conoscere la storia Mauro Iavarone, un ragazzino di undici anni massacrato nel 1998 in un viottolo di campagna di San Giovanni Incarico.
Di buon mattino, aveva lasciato la sua abitazione nel cuore della cittadina, una casa modesta come mille altre, due stanze, un salottino, una cucina, pochi mobili, in cui papà Guglielmo, un insegnante elementare che gestiva una cartolibreria nel paese l’aveva cresciuta da solo, dopo che una grave malattia aveva portato via la mamma. Doveva andare all’ospedale di Isola del Liri per sottoporsi ad una orto-panoramica. Dopo la visita medica, terminata alle 9:30, la ragazza aveva acquistato quattro pezzi di pizza e quattro cornetti in una panetteria a pochi passi dalla stazione. L’ultima volta è stata vista in piazza Umberto I.
Da quel momento su Serena Mollicone cala il silenzio. È una brava ragazza, una studentessa modello, suona il clarinetto nella banda del paese, quando può aiuta il papà nel negozio, non può essersi allontanata senza dire nulla. Per questo, Guglielmo, non vedendola tornare a casa, fa scattare subito le ricerche.
La morte di Serena
Il corpo senza vita della studentessa di Arce spunta fuori due giorni dopo la scomparsa, il 3 giugno. Era nel boschetto dell’Anitrella, in località Fontecupa, un luogo lontano da occhi indiscreti, ma frequentato dalle coppiette che cercano un po’ di intimità. Aveva le mani e i piedi legati, un sacchetto di plastica in testa, una vistosa ferita vicino all’occhio sinistro. La bocca era chiusa con sei giri di nastro isolante bianco. Serena era morta dopo sei ore di agonia. Aveva sofferto prima di esalare l’ultimo respiro. Se solo qualcuno l’avesse aiutata, forse, sarebbe ancora viva. Invece il suo cuore ha smesso di battere.
Un omicidio passionale? Un delitto d’impulso? Forse ha incontrato per strada un sorriso di un insospettabile che si è rivelato fatale? Tra le tante strade percorse una portava in provincia di Foggia. Un filo rosso, queste le supposizioni, univa l’omicidio di Serena Mollicone a quello di Nadia Roccia, la ragazza trovata morta in un garage di Castelluccio dei Sauri, uccisa per mano di due amiche, presumibilmente dedite anche a riti satanici.
C’era un particolare. Qualunque cosa fosse accaduta Serena non aveva fatto nemmeno un tentativo per difendersi da chi la stava uccidendo.
Le indagini, la storia di Serena Mollicone”
Il 6 febbraio del 2003 fu arrestato un carrozziere della zona. Il suo alibi è contraddittorio, è in possesso di un nastro adesivo simile a quello con cui era stata avvolta Serena, ma soprattutto nella sua officina fu trovata una parte di un biglietto che potrebbe esser quello dell’appuntamento di Serena con il dentista, che aveva proprio il giorno in cui scomparve. Le prove dell’accusa non reggono e al processo fu assolto, così in Appello ed in Cassazione.
Il mistero del cellulare di Serena
Al funerale di Serena, mentre papà Gugliermo piange davanti alla bara bianca della figlia viene convocato dai Carabinieri. La barba lunga di giorni, la giacca blu trasandata, i capelli lunghi, una camicia a fiori sbottonata. L’uomo fa il segno della croce e si reca in caserma per essere interrogato sul cellulare della ragazza. Cercato inutilmente per una settimana, dato per disperso, il telefonino spunta per caso in un cassetto del tavolo della stanza di Serena. Nascosto da un pacco di fogli, libri e quaderni.
«Il cellulare è stato portato in casa durante la veglia notturna, non ci sono altre spiegazioni». È la tesi del padre della ragazza che al dolore ha dovuto aggiungere l’onta di essere sospettato. L’uomo ha anche detto di aver cambiato la serratura di casa, perché Serena al momento della scomparsa aveva un mazzo di chiavi che non è stato mai ritrovato dagli inquirenti.
Il suicidio di Santino Tuzzi
C’è un altro mistero legato al caso. Non lontano dal luogo in cui fu scoperto il corpo di Serena Mollicone, Santino Tuzzi, brigadiere dei carabinieri di Sora di piantone in Casera quel ‘maledetto’ primo giugno, si è sparato in pieno petto con la pistola d’ordinanza. Solo cinque giorni prima era stato sentito come persona informata dei fatti di quel caso. È stato lui a raccontare di aver visto Serena entrare in Caserma il giorno della scomparsa. Probababilmente aveva visto qualcosa, ma era rimasto in silenzio fino a quando non è crollato sotto il peso di quel ‘segreto’. Anche se il procuratore di Cassino ha escluso che la morte del brigadiere possa essere legata alla nuova indagine, le domande restano molte.
Perché è stata uccisa Serena Mollicone?
La ragazza si drogava, aveva un amante sposato, non era quello che sembrava, l’ha uccisa un gruppo, l’ha uccisa una sola persona. Si sospetta del cugino, del fidanzato, di due pregiudicati, persino del padre. Spunta un amico che l’accompagnava a scuola su una vecchia Golf rossa. Si segue persino una pista esoterico-satanica. Si brancola nel buio, per anni, fino a quando i carabinieri del Ris confermano, grazie ad analisi effettuate sulla salma di Serena e sul nastro adesivo con cui era stata legata e imbavagliata, che l’omicidio è avvenuto nella caserma dei carabinieri. Forse Serena voleva denunciare il figlio del comandante per spaccio con cui, secondo una testimonianza, si era incontrata in un bar alle porte di Arce il giorno della scomparsa.
La porta della Caserma
La studentessa, secondo la ricostruzione dell’accusa, avrebbe battuto con violenza la testa contro una porta della Foresteria. Credendola morta, il Comandante l’avrebbe portata nel boschetto con la complicità della moglie, mentre il figlio si creava un alibi. Vedendo che respirava ancora, l’avrebbero soffocata. A quel punto sarebbero iniziati i depistaggi per creare piste alternative o confondere le acque. L’accusa, durante il processo, ha paragonato la morte di Serena Mollicone a quella di Marco Vannini: sarebbe morta nell’appartamento dove solo l’ex Comandante dei Carabinieri poteva entrare e la famiglia, unita, ha scelto di non aiutare la ragazza, ma di nascondere la verità.
Ma per la Giustizia non è andata così. I giudici di primo e secondo grado sono d’accordo: tutti assolti “per non aver commesso il fatto”. La ragione è presto detta: dal lungo processo non sono mai emersi «indizi gravi, precisi e concordanti sulla base dei quali possa ritenersi provata oltre ogni ragionevole dubbio la commissione in concorso da parte degli imputati» dell’omicidio di Serena Mollicone. Non c’è la pistola fumante, non ci sono impronte e tanti indizi, messi insieme, non possono essere considerati una prova regina.
E allora, chi ha ucciso Serena Mollicone?