Il boss e la moglie chiedono di essere giudicati con il rito abbreviato, nell’ambito dell’operazione antidroga “Battleship”. In mattinata, nell’aula bunker del carcere di Borgo San Nicola, si è tenuta l’udienza preliminare.
Sul banco degli imputati, dinanzi al gup Simona Panzera, ben 32 persone. La maggior parte ha avanzato richiesta di rito abbreviato (secco o condizionato). Si tratta di: Alessandro Caracciolo, detto “Frasola”, 57enne di Monteroni, la moglie Maria Antonietta Montenegro, 50 anni, Simona Caracciolo, 28enne di Monteroni e Mirco Burroni, 36 anni di Lequile. E poi, Angelo Calcagnile, 44enne e Antonio Cordella, 33enne, entrambi di Leverano; Alessandro Iacono, 36enne di Leverano; Cristian Nestola, 34enne di Leverano, Andrea Quarta noto come Bisca, 37enne, di Leverano; Piergiorgio De Donno, 33enne di Porto Cesareo; Salvatore Conte, 52enne di Leverano; Michele Antonio Ricchello, 44enne di Alliste; Massimiliano Lorenzo, 43 anni di Monteroni; Andrea Ricchello, 32enne di Monteroni.
E ancora, Andrea Carlino, 32enne di Racale; Loris Pasquale Casarano, 45enne di Taviano; Stefano De Leo, 44enne di Monteroni; Ivan Mario Greco, alias “U Piccinnu”, 32enne di Alliste; Bruno Guida, 43enne di Leverano; Simone Mazzotta, 44enne di Monteroni; Roxhers Nebiu, alias “Roger”, 28enne albanese residente a Taviano; Andrea Quarta, noto come “Pecora”, 44enne di Monteroni; Cristian Raganato, inteso “Pastina”, 25enne di Copertino; Carlo Squittino, 49enne di Castro.
Invece, Altin Shehaj, 40enne albanese residente a Melissano, sceglierà il “rito” nella prossima udienza, prevista il 25 febbraio.
Non hanno avanzato richiesta di abbreviato o patteggiamento: Erika Caracciolo, 31 anni, di Copertino; Emanuel Centonze, 23enne di Monteroni; Silvano De Leone, 56enne di Racale; Maria Lucia Maniglia, 54enne di Monteroni; Lorenzo Nuti, 34enne di Novoli; Giovanna Perrone, 56enne di Lecce; Luigi Reho, 61enne di Matino. Nella prossima udienza, il giudice si pronuncerà sull’eventuale rinvio a giudizio.
I reati contestati sono, a vario titolo è in diversa misura: associazione di tipo mafioso, associazione a delinquere finalizzata alla produzione ed al traffico internazionale di droga, estorsione, rapina, furto e minaccia aggravata.
Il collegio difensivo è composto, tra gli altri, dagli avvocati: Stefano Stefanelli, Giuseppe Bonsegna, Mario Coppola, Rita Ciccarese, Ladislao Massari, Angelo Vetrugno, Cosimo D’Agostino, Luca Puce, Giuseppe Romano, Massimo Bellini, Francesco Fasano, Stefano Pati, Giuseppe Presicce, Rocco Vincenti, Pantaleo Cannoletta.
L’inchiesta
L’inchiesta “Battleship” coordinata dal procuratore aggiunto della Dda Guglielmo Cataldi e condotta dagli uomini del GICO, è culminata con 14 arresti ( a seguito di ordinanza di misura cautelare emessa dal gip) ed ha permesso di smantellare l’associazione mafiosa “Caracciolo-Montenegro”, nel marzo scorso.
Un tempo facevano parte del clan Tornese, una delle storiche costole della Sacra Corona Unita, ma con il passare del tempo avevano preso le distanze dal gruppo, intenzionati a continuare da soli sulla strada della criminalità. Alessandro Caracciolo, conosciuto nell’ambiente come “Frasola” e la moglie Maria Montenegro, entrambi di Monteroni, erano riusciti a ‘svincolarsi’ per tentare di conquistare il potere, riuscendo gradualmente ad assicurarsi, il controllo del territorio.
Una vera e propria associazione a delinquere di stampo mafioso che ha consentito alla famiglia di Monteroni di allungare le mani su tantissimi settori che gestivano in modo “imprenditoriale”. Attentissimo alla contabilità, il clan tratteneva il cosiddetto «punto» sugli introiti – una percentuale in misura non inferiore al 20% sulle attività ‘organizzate’, o meglio imposte.
Nonostante il modus operandi, noto per la ‘violenza’, il gruppo aveva fatto del consenso sociale un marchio distintivo. Lo dimostrerebbero le ripetute richieste ai vertici dell’organizzazione affinché si interessassero per dirimere le più disparate controversie private o per tornare in possesso di beni o merci precedentemente rubati.
L’operazione “Battleship” ha dimostrato il ruolo chiave delle donne del “clan”. Impartivano ordini, dirigevano le operazioni, anche le più delicate e spesso ci mettevano la faccia rendendosi protagoniste di minacce ed intimidazioni.
