Irregolarità nel consolidamento della scogliera del “Ciolo”? Tre assoluzioni al termine del processo di Appello

Si chiude con con tre assoluzioni il processo di Appello sulle presunte irregolarità del progetto di consolidamento della scogliera del “Ciolo” di Santa Maria di Leuca.

Si conclude con tre assoluzioni il processo di Appello sulle presunte irregolarità del progetto di consolidamento della scogliera del “Ciolo” di Santa Maria di Leuca. La Corte (Presidente Nicola Lariccia) ha assolto con la formula “perché il fatto non sussiste” l’ingegnere Daniele Polimeno, 64enne di Spongano, difeso dagli avvocati Stefano De Francesco e Luca Vergine.

In primo grado, il giudice monocratico Valeria Fedele ha inflitto 6 mesi di arresto (pena sospesa). L’imputato era stato anche condannato al risarcimento del danno di 20 mila euro verso le parti civili, Legambiente-Circolo Capo di Leuca e Italia Nostra.

Assoluzione con la stessa formula, anche in favore di Primo Stasi, 64 anni di Lecce, legale rappresentante della ditta Etacons e Fulvio Epifani, 71 anni originario di Ostuni, legale rappresentante del Siscom, società appaltatrice dei lavori. I due imputati sono assistiti dall’avvocato Andrea Sambati. In primo grado, il gup Carlo Cazzella ha inflitto con rito abbreviato, la pena di quattro mesi di arresto nei confronti di entrambi.

Altri imputati erano stati già assolti in primo grado. Rispondevano, a vario titolo ed in diversa misura, dei reati di distruzione o deturpamento di bellezze naturali e abusivismo edilizio.

Sono assistiti dagli avvocati Riccardo Giannuzzi, Alessandro Distante, Francesco Nutricati, Francesco Maggiore.

L’inchiesta

Il 3 febbraio del 2015, la Procura aveva disposto il sequestro probatorio. Dunque, gli uomini del Nucleo Investigativo Provinciale di Polizia Ambientale e Forestale (Nipaf) avevano apposto i sigilli al cantiere di monitoraggio, pulizia della roccia e studio della falesia del Ciolo, avviato alle fine del 2014.

L’indagine, condotta dall’attuale procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone, partì da un esposto di Legambiente (parte civile nel processo con l’avvocato Anna Grazia Maraschio), corredato da fotografie raffiguranti i grossi fori praticati nella roccia dagli operai, per l’applicazione delle reti previste nel progetto. Esso prevedeva l’utilizzo di oltre duemila tondini di acciaio, circa 5 km di perforazioni e la demolizione di oltre 600 metri di scogliera. Per tale mastodontica opera era stata stanziata la somma di circa 1 milione di euro.