Processo sulla morte di Simone Renda in Messico: la parola agli avvocati. Il 15 dicembre arriverà la sentenza

Nella prossima udienza, si terrà l’arringa difensiva dell’avvocato Pasquale Corleto. Il 29 settembre, invece, il pubblico ministero aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati per la morte del 34enne bancario leccese, avvenuta il 3 marzo 2007 in un carcere messicano.

Nella prossima udienza, si terrà anche l’arringa difensiva dell’avvocato Pasquale Corleto. Il 29 settembre, invece, il pubblico ministero aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati per la morte del 34enne bancario leccese, avvenuta il 3 marzo 2007 in un carcere messicano.

Continua la discussione in aula del processo sulla morte di Simone Renda avvenuta il 3 marzo 2007 in un carcere messicano. Hanno preso la parola gli avvocati Giuseppe Corleto e Fabio Valenti in qualità di difensori dei familiari del bancario leccese. Gaetano Renda e Cecilia Greco, madre di Simone, nel corso della prima udienza, si erano costituiti Parte Civile.

Successivamente, hanno discusso i legali di due imputati messicani. Il processo è stato aggiornato al 15 dicembre. Quel giorno sarà emessa la sentenza, ma prima si terranno le cosiddette “repliche” e l’arringa difensiva dell’avvocato Pasquale Corleto. Già in un’udienza precedente, il legale ha sottolineato l’importanza del fatto che il processo si celebri in Italia, lodato l’impegno della Procura e duramente attaccato le autorità giudiziarie messicane. In merito al punto ne bis in idem (un accusato non può essere giudicato due volte per lo stesso reato) ha contestato l’applicazione del suddetto principio, poiché lo Stato Italiano non è vincolato a quello messicano da nessuna convenzione bilaterale né internazionale.

Nell’udienza del 29 settembre scorso, invece, il pubblico ministero Angela Rotondano, nel corso della sua appassionata requisitoria, ha chiesto la condanna di tutti gli imputati:
«La morte di Simone Renda sarebbe sopravvenuta per disidratazione, in seguito ad un atto d’indicibile di crudeltà, perpetrato da persone giuridiche che dovevano occuparsi di lui. Se fosse stato assistito in carcere dal punto di vista sanitario, si sarebbe evitato il decesso».

Il pm, innanzi ai giudici della Corte di Assise (Presidente Roberto Tanisi, a latere Francesca Mariano e giudici popolari), ha invocato 21 anni di carcere per Francisco Javier Frias,  agente della polizia turistica del municipio di Playa del Carmen; 21 anni per Arceno Parra Cano; 24 anni a Pedro May Balam, vicedirettori del Carcere Municipale e a capo del servizio di permanenza; 21 anni per Luis Alberto Landeros, l’altra guardia carceraria di turno e 22 anni a Gomez Cruz responsabile dell’ufficio ricezione del carcere;  21 anni a  Josè Alfredo Gomez, agente della polizia turistica del municipio di Playa del Carmen; 24 per il giudice qualificatore di turno  Hermilla Valero Gonzalez; 22 anni per  Najera Sanchez Enrique, guardia carceraria di turno.

Gli imputati sono accusati, a vario titolo ed in diversa misura, del reato di omicidio. Inoltre, gli imputati rispondono della violazione dell’articolo 1 della Convenzione ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli disumani e degradanti che recita, “per avere, in concorso tra loro cagionato la morte di Simone Renda, sottoponendolo a trattamenti crudeli, inumani e degradanti al fine di punirlo per una presunta infrazione amministrativa, durante la sua detenzione nel carcere municipale di Playa del Carmen“. Inoltre, si tratterebbe del primo caso nella procedura penale in cui, grazie alla Convenzione di New York dell’84, il processo sui responsabili di un omicidio avvenuta al di fuori del Paese d’origine della vittima, sia celebrato nel Paese di provenienza di quest’ultima.

Il pubblico ministero nel corso della requisitoria ha parlato di  “cronaca di una morte annunciata” .Infatti, “è noto a tutti gli imputati che Renda durante la detenzione fosse in isolamento, senza acqua né cibo, e ciò era noto anche ai detenuti.  Le sue gravi condizioni di salute erano ben note. Si verificò una totale assenza di garanzie procedurali. Anche se l’ordine di scarcerazione fosse stato dato con le dovute modalità , sarebbe servito a qualcosa, in  assenza di provvedimenti a tutela della vita e della salute di Simone?” Soprattutto , ha sottolineato il pm, se Simone fosse stato assistito correttamente dal punto di vista sanitario, “si sarebbe evitato il suo decesso“.



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