Simone Renda morì in un carcere del Messico: chiesti oltre 170 anni per gli imputati

Il pubblico ministero Angela Rotondano, nel corso della sua appassionata requisitoria, ha chiesto la condanna di tutti gli imputati, nel processo sulla morte di Simone Renda avvenuta il 3 marzo 2007 in un carcere messicano.

«La morte di Simone Renda sarebbe sopravvenuta per disidratazione, in seguito ad un atto d’indicibile di crudeltà, perpetrato da persone giuridiche che dovevano occuparsi di lui. Se fosse stato assistito in carcere dal punto di vista sanitario, si sarebbe evitato il decesso». Il pubblico ministero Angela Rotondano, nel corso della sua appassionata requisitoria, ha chiesto la condanna di tutti gli imputati, nel processo sulla morte di Simone Renda, avvenuta il 3 marzo 2007 in un carcere messicano.

Il pm Rotondano, innanzi ai giudici della Corte di Assise (Presidente Roberto Tanisi, a latere Francesca Mariano e giudici popolari), ha invocato 21 anni di reclusione per: Francisco Javier Frias,  agente della polizia turistica del municipio di Playa del Carmen; 21 anni per Arceno Parra Cano; 24 anni a Pedro May Balam, vicedirettori del Carcere Municipale e a capo del servizio di permanenza; 21 anni per Luis Alberto Landeros, l’altra guardia carceraria di turno e 22 anni a Gomez Cruz responsabile dell’ufficio ricezione del carcere; 21 anni a Josè Alfredo Gomez, agente della polizia turistica del municipio di Playa del Carmen; 24 per il giudice qualificatore di turno  Hermilla Valero Gonzalez; 22 anni per Najera Sanchez Enrique, guardia carceraria di turno.

Gli imputati sono accusati, a vario titolo ed in diversa misura, del reato di omicidio. Inoltre, gli imputati rispondono della violazione dell’articolo 1 della Convenzione ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli disumani e degradanti che recita, “per avere, in concorso tra loro cagionato la morte di Simone Renda, sottoponendolo a trattamenti crudeli, inumani e degradanti al fine di punirlo per una presunta infrazione amministrativa, durante la sua detenzione nel carcere municipale di Playa del Carmen”.

Inoltre, si tratterebbe del primo caso nella procedura penale in cui, grazie alla Convenzione di New York dell’84, il processo sui responsabili di un omicidio avvenuta al di fuori del Paese d’origine della vittima, sia celebrato nel Paese di provenienza di questultima.

Il pubblico ministero nel corso della requisitoria ha parlato di  cronaca di una morte annunciata.Infatti “È noto a tutti gli imputati che Renda durante la detenzione fosse in isolamento, senza acqua né cibo e ciò era noto anche ai detenuti.  Le sue gravi condizioni di salute erano ben note. Si verificò una totale assenza di garanzie procedurali. Anche se l’ordine di scarcerazione fosse stato dato con le dovute modalità , sarebbe servito a qualcosa, in  assenza di provvedimenti a tutela della vita e della salute di Simone ?” Soprattutto, ha sottolineato il pm, Se Simone fosse stato assistito correttamente dal punto di vista sanitario, si sarebbe evitato il suo decesso”.

Il pm ha poi fatto riferimento all’autospia eseguita dal medico legale Alberto Tortorella, quale consulente tecnico della Procura. Questi ha affermato nella relazione che “considerando le condizioni del Renda al momento della sua traduzione in carcere, doveva essere immediatamente disposto il ricovero ospedaliero. Dunque, l’abbandono in una cella ha condizionato il quadro clinico. Inoltre, dall’autopsia non emerge l’assunzione di sostanze stupefacenti da parte di Simona Renda”.

Nella prossima udienza fissata per il 17 novembre, quando prenderanno la parola prenderanno la parola l’avvocato Pasquale Corleto, assieme a Fabio Valenti difensore delle Parti Civili, i familiari di Simone, Gaetano Renda e la madre Cecilia Greco.

L’altra udienza è fissata per il 15 dicembre quando è prevista la sentenza.