Risarcimento “ingiusto” per la morte del padre in un incidente, le figlie ottengono giustizia

La Corte d’Appello ha riconosciuto a ciascuno degli eredi quasi 200mila euro a titolo di risarcimento per la perdita dell’anziano padre ribaltando la decisione del Tribunale di Lecce che aveva limitato il danno non patrimoniale a soli 46.500 euro.

Avevano ritenuto ingiusta la sentenza del Tribunale di Lecce che aveva limitato la condanna del responsabile della morte dell’anziano padre – deceduto dopo un incidente stradale – a “soli” 46.500 euro per i danni non patrimoniali, come richiesto nell’atto introduttivo del giudizio e si erano rivolti allo Sportello dei Diritti per cominciare un’altra battaglia per ottenere finalmente “giustizia”.

Alla fine, la Corte di Appello di Lecce [con la sentenza n. 380/2018 del 29 marzo scorso] ha condannato il responsabile del sinistro e la compagnia assicurativa al risarcimento integrale dei danni non patrimoniali richiesti dalle figlie dell’anziano, deceduto per le lesioni riportate nell’incidente stradale, avvenuto nel lontano 2009. Quasi 200mila euro tra sorte capitale e interessi per ciascuno dei prossimi congiunti.

I precedenti

La corte territoriale ha ricordato che già la Cassazione con sentenza n. 20330/2017 ha statuito il principio di diritto secondo cui: “In tema di danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, la quantificazione dell’importo della liquidazione accompagnato dalla clausola di salvaguardia della “eventuale maggiore misura” rispetto alla somma indicata in citazione, si giustifica nella originaria ed oggettiva incertezza del “quantum” da commisurarsi. Tale incertezza non viene meno neppure a seguito dell’istruttoria, che consente di individuare ed accertare i fatti rilevanti ai fini della “aestimatio” del danno, ma non fornisce anche specifiche indicazioni sulla quantificazione dello stesso, con la conseguenza che il richiamo alla formula utilizzata in citazione, effettuato in sede di precisazioni delle conclusioni in primo grado, si risolve in una mera forma stilistica volta a consentire al giudice di procedere alla valutazione estimatoria senza vincoli limitativi… “.

Alla luce di tali principio, i magistrati leccesi hanno rilevato che «nel caso di specie, in applicazione del suddetto principio di diritto, la quantificazione del danno non patrimoniale effettuata dalle ricorrenti nel ricorso introduttivo accompagnata dalla seguente clausola: “Salve, in ogni caso quelle somme maggiori o minori che saranno ritenute dal giudice adito o che risulteranno dovute a ciascuno dei congiunti della vittima all’esito dell’istruzione della causa e/o a seguito delle ridette consulenze tecniche invocate” è giustificata dall’originaria incertezza del quantum risarcitorio, a titolo di danno non patrimoniale. Inoltre, nell’atto di citazione di primo grado vi era espressa richiesta di attribuzione delle somme maggiori eventualmente dovute».

Pertanto, sottolineano i giudici di secondo grado «la clausola de qua non è una mera clausola di stile. Infatti in corso di causa è stata anche espletata CTU medico legale finalizzata ad accertare il danno biologico. Trattandosi di danno non patrimoniale, la cui valutazione preventiva è di difficile quantificazione, può affermarsi che la domanda è stata formulata in termine tali da consentire al Giudice l’attribuzione di quanto richiesto».

Insomma, per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, si tratta di un’importante decisione che nell’evidenziare che è pressoché impossibile determinare sin dall’inizio di una causa finalizzata al risarcimento del danno non patrimoniale il suo esatto ammontare, bacchetta anche la compagnia assicurativa che si era ostinata a voler riconoscere solo e soltanto il modesto importo riconosciuto dal giudice di primo grado che era manifestamente troppo riduttivo nella liquidazione dei danni derivanti dalla perdita della scomparsa di un prossimo congiunto padre e seppure in età avanzata.



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