Sequestrati due locali a Bologna, nei guai un leccese

I beni sono riferibili a Giuseppe Indovino, monterone già noto alle forze dell’ordine, e a Luigi D’Ercole, originario di Monza, entrambi 45enni e residenti a Bologna. Le indagini hanno accertato che i beni sequestrati sono frutto del reimpiego dei proventi del traffico di droga.

Riciclaggio di denaro derivante da droga per arrivare a realizzare alcune attività commerciali. Attività illecita che coinvolge anche un uomo originario di Monteroni. La Dia di Bologna e la squadra Mobile del capoluogo emiliano, coordinate dalla Dda, hanno sequestrato beni per oltre un milione e mezzo, in un’indagine su un presunto traffico di stupefacenti. I beni sono riferibili a Giuseppe Indovino, leccese già noto alle forze dell’ordine, e a Luigi D’Ercole, originario di Monza, entrambi 45enni e residenti a Bologna. Le indagini hanno accertato che i beni sequestrati sarebbero frutto del reimpiego dei proventi del traffico di droga, investiti in attività commerciali.

In esecuzione del provvedimento del Gip Mirko Margiocco, oltre a diversi rapporti finanziari accesi in 21 banche, è stato sequestrato l’intero compendio aziendale di due società, con sede a Bologna, con nomi tipicamente salentini: “I Sapori della Taranta Srl Unipersonale” e “Lu furnu te la taranta di Chiriatti Marco e C. Sas”, un ristorante in via San Donato e un forno, specializzati in prodotti tipici pugliesi. Sequestrato anche un immobile di proprietà di D’Ercole. Sono in corso inoltre varie perquisizioni in case e attività commerciali riconducibili ai due indagati, disposte dai Pm Francesco Caleca e Domenico Ambrosino.

Gli investigatori della Direzione investigativa antimafia e della squadra Mobile hanno svolto accertamenti patrimoniali mirati, anche nei confronti di familiari e conviventi dei due, per documentare una netta sproporzione tra il patrimonio reale e quanto dichiarato. Il Gip ha accolto l’ipotesi investigativa, confermando che Indovino, oltre ad aver impiegato i proventi illeciti per costituire «I Sapori della Taranta» (tra l’altro costituita mentre era in carcere) e il forno, avrebbe interposto nelle attività altre persone fidate e prive di precedenti, per salvaguardare e mettere al sicuro i propri investimenti.

Per D’Ercole, oltre alla sproporzione tra redditi disponibili e ricchezza accumulata, è stato documentato il reimpiego di capitali illeciti, con ogni probabilità in parte frutto del traffico di sostanze stupefacenti.



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