Terra di mafia? Neghiamolo coi fatti, non a parole

Le dichiarazioni del Procuratore Capo della Repubblica di Lecce Cataldo Motta sono state indubbiamente forti e provocatorie, utili sicuramente a destare l?attenzione di tutti e a tenerla alta.

Siamo una terra mafiosa? E’ una domanda pertinente, che dobbiamo farci. Magari per rispondere prendiamoci un po’ di tempo, perché le valutazioni possibili non sono cosa immediata e di poco conto.

E’ vero, non è piacevole accettare l’idea che il Salento, meraviglioso e incantevole, possa essere considerato un territorio dalla mentalità mafiosa, di certo tutto questo conviene poco all’immagine e alle strategie pubblicitarie, ma non possiamo affermare nemmeno di essere immuni da certi virus criminogeni.

Terra di mafia (la quarta mafia) lo siamo stati, la DDA è nata per questo, negarlo sarebbe un falso storico e negare che la storia possa aver lasciato importanti sedimentazioni criminali è altrettanto inverosimile.

Il procuratore Motta non sbaglia, pertanto, a voler rimarcare questa deriva pericolosa. L’omertosa predisposizione di tanti cittadini rende fertile il terreno di coltura delle mafie, anche se il più delle volte si tratta solo di paura e mancanza di coraggio. Peggio quando, come è accaduto, un imprenditore si rivolge ai clan per chiedere protezione. Questo sì che è molto grave.

Prendere le distanze dall’allarme lanciato o tentare di ridimensionare la denuncia del procuratore antimafia potrebbe essere fuorviante per via della inderogabile necessità di arginare possibili contaminazioni che i veleni mafiosi possono estendere ai più diversi gangli della società.

Qui non è in discussione la pervasività della criminalità locale o il suo livello di organizzazione, né la struttura interna o i rapporti con il contesto, qui si vuole discutere del modo di essere e di pensare di tanti di noi o di qualcuno. La legalità parte dal basso, dalle piccole cose, anche da quelle minuscole ed obiettivamente su questo versante le criticità esistono ed esistono da sempre.

Tuttavia anche negare che la criminalità organizzata sia attiva e ben radicata potrebbe essere un azzardo, perché la carcassa smembrata di un agnellino, con tutto il corredo di viscere sanguinanti, appesa in bella mostra alla saracinesca di un esercizio commerciale di Lecce fa nascere il sospetto o meglio la certezza che i linguaggi, i codici e le simbologie siano proprio quelle tipicamente mafiose, caratteristiche di altri territori più esposti alla tirannia criminale.

Nessuno scandalo, quindi, se ci accorgiamo di qualche peccato della nostra terra, l’importante è stare tutti dalla stessa parte e combattere le azioni, i meccanismi e i personaggi che tentano di inoculare veleno nel tessuto socioeconomico e culturale del nostro amato Salento.



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