
Sabato 22 e domenica 23 marzo tornano per la 33ª edizione le Giornate FAI di Primavera, il principale evento di piazza dedicato al patrimonio culturale e paesaggistico del nostro Paese, organizzato dal FAI-Fondo per l’Ambiente Italiano ETS grazie all’impegno e all’entusiasmo di migliaia di volontari: 750 luoghi in 400 città saranno visitabili a contributo libero, grazie ai volontari di 350 Delegazioni e Gruppi FAI attivi in tutte le regioni.
Un’edizione speciale, in occasione dei cinquanta anni dalla nascita – fondato nel 1975 da Giulia Maria Crespi e Renato Bazzoni, con Alberto Predieri e Franco Russoli – che anche attraverso le Giornate FAI di Primavera ribadisce la missione culturale che la Fondazione svolge a fianco delle istituzioni, con i cittadini e per il Paese, e che si realizza nella cura e nella scoperta di tanti luoghi speciali – oltre 13 milioni visitatori, 16.290 luoghi aperti in oltre 7.000 città in 32 edizioni – con lo scopo di educare la collettività alla conoscenza, alla frequentazione e alla tutela del patrimonio di storia, arte e natura italiano.
Le Giornate rappresentano un momento di crescita educativa e culturale e di condivisione, strumenti essenziali per affrontare un mondo libero. Un percorso di cittadinanza che coinvolge istituzioni, associazioni, enti pubblici e privati, che in numero sempre maggiore vi collaborano grazie a una vasta e capillare rete territoriale, con un unico obiettivo: riconoscere il valore del nostro patrimonio culturale e con esso la nostra identità di cittadini europei.
Le giornate in provincia di Lecce
Per quel che riguarda il Salento, si potranno visitare a Lecce Palazzo Bernardini è un’esclusiva residenza nobiliare di impianto cinquecentesco, nel cuore del centro storico di Lecce. Frutto della fusione di tre edifici, il più antico dei quali di origine rinascimentale, accorpati dalla famiglia Mandoj nella seconda metà dell’Ottocento, alla sua conservazione e valorizzazione si dedica tuttora l’attuale proprietaria Isabelle Oztasciyan. Il Palazzo custodisce la decima parte di una pinacoteca del ‘600; un’antica biblioteca con mobili impero di fattura napoletana e volumi di storia, letteratura italiana, straniera, teatrali, religiosi, scientifici, un calendario religioso del 1603, che riporta le principali festività religiose fino all’anno 5000, e una collezione di incisioni antiche. Inoltre, in una sala è stata ritrovata una cassaforte murata del XV secolo con lo sportello girevole in pietra leccese. In occasione delle Giornate FAI si potranno visitare i saloni del primo piano con gli affreschi settecenteschi e i fregi decorati in cartapesta, le antiche pavimentazioni – tra cui un mosaico ottocentesco con motivi floreali della Manifattura leccese Peluso , le maioliche ottocentesche dell’antica Manifattura Paladini di San Pietro in Lama, le maioliche napoletane, nonché i pavimenti di basoli. Al piano terra, saranno aperti al pubblico una biblioteca a carattere religioso con testi in varie lingue ufficiali – italiano, greco, turco, armeno, francese, inglese, tedesco, griko salentino e grecanico calabrese -, nonché un antico giardino, che conserva un imponente albero di Araucaria, un glicine secolare e altre piante ornamentali ottocentesche.
A Matino sarà possibile compiere un Itinerario nel borgo. Le strittuledde (stradine strette e tortuose), incrociandosi come una fitta rete da pescatore, indicano il percorso verso le affascinanti corti e cortili del borgo antico di Matino. Dimostrazione di un passato dove le persone vivevano in piccole abitazioni con uno spazio in comune tra pile (vasche in pietra) per il bucato, pazzuli (sedili in pietra) per riposarsi, mignani per affacciarsi, granai e silos per conservare gli alimenti e le fontane pubbliche sinonimo di incontro e condivisione. Tra i molti luoghi che rendono unico il borgo spiccano il Palazzo Marchesale, residenza storica dei Marchesi del Tufo – imponente nel suo gusto neoclassico con tipicità barocche -; la Chiesa Madre dedicata a San Giorgio patrono della città; l’Arco della Pietà, ovvero l’ingresso all’antico borgo, con la sua volta a crociera ogivale che quasi protegge la chiesa adiacente. Sono numerose inoltre le edicole votive, incastonate nelle murature, esempi di una forte devozione popolare. Una vera città sotterranea testimonia infine la presenza di un grande insediamento rupestre articolato in diversi ambienti ipogei: cantine, ricoveri per animali con mangiatoie, frantoi che caratterizzavano la vivace attività olearia.
Sarà possibile anche recarsi a Roca Nuova e Roca Vecchia. Roca Nuova è un affascinante borgo disabitato nel cuore del Salento, piccolo ma suggestivo villaggio fortificato sospeso nel tempo, rimasto quasi immutato rispetto a 500 anni fa. Fu fondato alla metà del XVI sec. dai profughi di Roca Vecchia, distrutta perché diventata covo piratesco. Dal Settecento inizia una graduale e inesorabile decadenza, causata anche dalla presenza della malaria, sino al totale abbandono nella prima metà del XX secolo. Nella piazza centrale svetta la Torre-castello, mentre intorno si sviluppano, su stradine regolari, le abitazioni a schiera; alle spalle della fortezza si ergono la Chiesetta dedicata a S. Vito e un mulino; attigua all’edificio, la piccola prigione semi-ipogea con incisioni fatte dai prigionieri. Tutt’attorno si sviluppano le abitazioni, addossate al muro di cinta e costituite da diversi ambienti, tra cui la cucina con camino e piccolo cortile posteriore. La chiesetta, più volte rimaneggiata, conserva l’altare maggiore dedicato a S. Giorgio e un affresco della Madonna col Bambino proveniente da un’altra chiesa.
Affacciata sul mare Adriatico in una zona caratterizzata da ripide falesie di calcarenite, Roca Vecchia è un sito archeologico tra i più importanti del Mediterraneo. Approdo strategico per le rotte di navigazione tra l’Egeo e il Mediterraneo centrale, le ricerche archeologiche hanno documentato una lunga e ininterrotta presenza umana di circa 3500 anni, dall’inizio del Bronzo medio. Dopo un periodo di decadenza, il sito conobbe una ripresa insediativa, tra la fine del XIII e la prima metà XIV sec., con la fondazione di una cittadella militare fortificata. Nel 1480 subì l’invasione turca, ma la fine del borgo, coincide, alla metà del XVI secolo, con la fondazione di Roca Nuova. Il sito si sviluppa su due aree adiacenti ma distinte, denominate “Località Grotte della Poesìa” e “Località Castello”. Importante è la grotta-santuario “della Poesìa piccola”, sulle cui pareti di roccia sono incisi testi votivi in messapico e latino dedicati a una divinità locale. Tutta l’area conserva resti di tombe a fosse e strutture abitative di epoca messapica. Sull’area Castello restano le imponenti mura di fortificazione dell’età del Bronzo medio con la monumentale porta urbica e le postierle; al centro è ubicata la cittadella militare medievale, mentre a nord è situata la grande Capanna-Tempio dell’età del Bronzo finale. Sul lato settentrionale sono visibili ancora i resti delle fortificazioni medievali e la porta nord, con il tratto delle mura messapiche. Sull’isolotto di fronte si erge la torre di guardia del 1568
A Sannicola l’Abbazia di San Mauro, che sorge su una collina rocciosa a 70 metri sul livello del mare, con vista sulla costa che collega Gallipoli a Lido Conchiglie, denominata Serra dell’Altolido. Dichiarata monumento nazionale nel 1968, grazie a interventi recenti, è stata valorizzata e resa accessibile attraverso una nuova e suggestiva sentieristica, con scalini scavati nella roccia. Il più antico documento sull’Abbazia risale al 1111-12, mentre la prima donazione è del 1149. Fino al 1227 si registrano continui passaggi di beni al monastero, segno della devozione locale, ma già dal 1268 la progressiva latinizzazione portò al declino del rito greco in Salento. Nel 1325 la chiesa fu addirittura sede episcopale, ma con il tempo cadde in rovina, come riportato da visite pastorali, fino all’abbandono definitivo. Chiesa di piccole dimensioni, costruita in tufo locale, l’Abbazia si integra perfettamente con il paesaggio circostante. La facciata è semplice, arricchita da un campanile a vela riconducibile all’architettura bizantina; all’interno si presenta a pianta rettangolare a tre navate sorrette da sei pilastri quadrangolari, con volte a botte nella navata centrale e a quarto di cerchio nelle laterali. Le pareti, le volte e i pilastri sono completamente affrescati, anche se in gran parte deteriorati. Gli affreschi, realizzati probabilmente nel XIII secolo, raffiguravano scene della vita di Cristo e figure di Santi, Evangelisti e Profeti, opera di maestranze greche.
Due i luoghi di interesse a Tricase. Agli inizi del XX secolo, la coltivazione del tabacco rappresentava un elemento chiave per la modernizzazione dell’agricoltura salentina e per l’integrazione del reddito contadino, garantendo alle operaie tabacchine un’occupazione per diversi mesi all’anno. Nel 1902 venne costituito a Tricase il “Consorzio Agrario Cooperativo del Capo di Leuca”, grazie all’adesione di 96 soci. In seguito, per obbligo di legge, la società anonima a responsabilità limitata assunse la denominazione di “Azienda Cooperativa Agricola Industriale del Capo di Leuca”. Acquisito nel 2003 dal patrimonio comunale con l’obiettivo di avviare un programma di riqualificazione per trasformarlo in un centro culturale polivalente, l’ex ACAIT di Tricase ha subito nel 2016 un cedimento strutturale a causa delle precarie condizioni statiche. L’ACAIT si è distinto per la sua modernità, non solo nella produzione, ma anche nei servizi sociali: fu tra le prime aziende a istituire un asilo nido aziendale, anticipando le normative nazionali e regionali in materia. All’interno dell’ex ACAIT sarà visitabile la mostra “Fumeremo popolari”, che attraverso immagini, documenti e testimonianze racconta la storia della manifattura di tabacchi orientali di Tricase, dalla fondazione nel 1902 alla trasformazione in ACAIT nel 1938. L’esposizione offre uno spaccato di realtà consortile dinamica, che per quasi un secolo ha inciso sullo sviluppo socio-economico del basso Salento. In un panorama in cui le cooperative erano diffuse soprattutto al Nord, il Consorzio di Tricase rappresentò un esempio significativo per il Mezzogiorno. La ricerca documentaria ha riportato alla luce la sua attività diversificata, restituendo alla comunità un prezioso frammento della propria storia e identità.
Completerà gli appuntamenti nella località rivierasca Palazzo Gallone. Si racconta che tra il X e l’XI secolo esistessero tre Casali e che, dall’unione di essi, sia nato il primo nucleo di abitazioni che diede il nome alla cittadina. Dal 1558 al 1806, fino all’eversione delle feudalità, Tricase fu dominio dei principi Gallone, nobile famiglia, probabilmente indigena di Terra d’Otranto, la cui ultima erede, Maria Bianca Gallone, poetessa e scrittrice, è morta nel 1982. Sede del Comune di Tricase, Palazzo Gallone è il principale monumento della città. Fu edificato nel XV secolo, quando Stefano Gallone, avuti in permuta dall’Universitas il torrione e la torre a ovest, diede il via alla costruzione del palazzo sui resti di una vecchia dimora baronale. Il fronte dell’edificio si presenta con un aspetto austero, ingentilito dalle decorazioni nel portale con lo stemma della famiglia, mentre la facciata orientale si sviluppa su tre piani con un loggiato ad architrave. All’interno, gli ambienti del piano terra contavano un mulino, un forno, le stalle e i magazzini; il piano nobile, invece, prevedeva cinque appartamenti e una Sala del Trono. Oggi, i portali, le volte, i caminetti, gli stemmi, i fregi nonché i soffitti lignei ricordano lo sfarzo dell’epoca. Tra le altre curiosità, una serie di preziosi graffiti risalenti all’attacco dei Turchi decorano le pareti delle prigioni ipogee.