Qualità o consumo? Il nuovo Dracula che non ti aspetti al cinema

Ma se un vampiro non fa paura, serve ancora? Si apre il sipario su un dualismo che polarizza nel film di Luc Besson: critica che odia o pubblico che adora?

Dracula. Un nome che evoca nebbia, castelli gotici e l’ombra lunga della dannazione eterna. Per decenni, ha rappresentato il Male seducente e assoluto. Ma cosa succede se il vampiro più famoso della storia smette di terrorizzare e inizia invece a commuovere?

È questa la provocazione lanciata dal regista francese Luc Besson con il suo attesissimo Dracula– L’amore perduto. Besson -dichiaratamente “non amante degli horror”- ha distillato il mito per estrarne un succo destinato a un target semplice, nella speranza di un ritorno al cinema dei teenagers.

Il tanto criticato quanto popolare film, riattraversa apertamente l’eredità di Francis Ford Coppola (Dracula di Bram Stoker, 1992), toccando tappe essenziali della storia: la morte della donna amata, il rifiuto della religione, la ricerca ossessiva di Mina (reincarnazione dell’anima gemella) e la lotta contro Harker. Tutto ciò insomma che abbiamo visto e rivisto più volte, in tutte le rivisitazioni del Conte. Tuttavia, Besson riscrive il tutto con un linguaggio e un’estetica calibrati per un pubblico moderno, romantico e -forse- superficiale.

La cornice del racconto infatti si sposta a Parigi, e le digressioni (come il Conte alle prese con la sintesi di un profumo d’amore) non sono semplici scelte narrative, ma precisi richiami all’attenzione dei teenager e dei trend romantici attuali. Questi elementi affascinanti sono l’unico modo con cui Besson può rendere il mito rilevante oggi: rimanendo ostinatamente sulla superficie delle cose.

Il regista riduce volutamente il romanzo di Stoker a un mélo orgoglioso di esserlo, mettendo in primo piano non il terrore, ma il sesso, i corpi, l’amore e una messa in scena che, soprattutto nel primo atto, omaggia e al contempo svuota i simbolismi di Coppola, trasformandoli in puro e luccicante trend.

Vivere senza amore è peggiore di una malattia,” – è la frase chiave che definisce la nuova interpretazione – “Come una pioggia fine e incessante, che ti rovina le ossa come una spugna informe, incapace di reggersi in piedi.

Vlad lascia i suoi canini spaventosi per diventare quindi un Romeo senza Giulietta, condannato a un’immortalità che è la negazione della pace. È a questo punto che si consuma la clamorosa dualità del film. Mentre veniva massacrato dalla critica, Dracula – L’amore perduto si è preso la rivincita al box office, vincendo la gara degli incassi contro film titolati e “assolutamente da vedere”.

Il successo in sala conferma la presa del film: con 3 milioni e mezzo di euro in Italia e il titolo di film straniero più visto in Russia nel 2025, l’operazione Besson è stata un trionfo di marketing e consumo. Eppure, i rilievi critici rimangono incisivi: la sceneggiatura involontariamente comica, i difetti nella CGI (come i gargoyle-maggiordomi) e la semplificazione eccessiva hanno alienato i puristi, che nei rari momenti di cinema puro, sentono tradito il peso dell’eredità di Coppola. Se da un lato il regista ha garantito una nuova vita al Conte per la Generazione Z, dall’altro ha forse mancato un’occasione cinematografica. Alla fine, il Dracula – L’amore perduto di Luc Besson non fa che ribadire, involontariamente, un’unica, inesorabile verità: che l’opera di Francis Ford Coppola rimane un punto di riferimento insuperabile, destinato a sopravvivere intatto all’irripetbilità.



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