L’amore è cieco, e il buio gli si addice. Shakespeare, Romeo e Giulietta
È all’insegna dell’ecclissi d’amore il programma del 44° Festival della Valle d’Itria a Martina Franca. Dal 13 luglio al 4 agosto un cartellone intenso e articolato che si snoda tra titoli rari e preziosi e opere note.
All’eterno binomio di amore e morte è dedicata il 13 luglio l’inaugurazione del Festival con la prima di Giulietta e Romeo opera scritta da Nicola Vaccaj in replica il 15 e il 31 luglio a Palazzo Ducale. Pubblico raffinato e pieni applausi per questa opera messa in musica dall’ operista di Tolentino, su libretto di Felice Romani, revisionato per questa edizione da Ilaria Narici e Bruno Gandolfi per edizione Casa Ricordi Milano.
Un’ambiziosa e rara riedizione dell’originale andato in scena la prima volta a Milano, al Teatro della Canobbiana il 31 ottobre 1825, all’epoca accolto calorosamente per la sua originalità. La fortuna dell’opera fu però presto ecclissata, nella versione integrale, dall’ opera Capuleti e Montecchi di Vincenzo Bellini, rappresentata alla Fenice di Venezia nel 1830.
Il paragone tra le due versioni diventò un tòpos nella letteratura musicale perché ci fu una sorta di rivincita quando il finale belliniano fu sostituito con il finale di Vaccaj a partire dal 1831 e suggellato definitivamente nel 1832 a Bologna quando la celebre Maria Malibrandecise di cantare sempre la versione finale di Vaccaj, preferendola alla scrittura belliniana, forse per la sua incisività drammatica o per quel rispetto che Vaccaj adoperava verso la fisiologia della voce, senza forzature, come enunciato nel suo celebre manuale, Metodo pratico di canto italiano in 15 lezioni, ancora in uso nei conservatori. La storia di Giulietta e Romeoè protagonista nella selezione del curatore del Festival, Alberto Triola, che nel corposo volume critico prodotto per il Festival, afferma che “Giulietta e Romeo” segna “Un percorso che porta dalla dimensione astratta e sublimata del dramma di ascendenza barocca a quella del realismo palpitante e vivo del teatro del pieno ‘800[…] che segnerà il tramonto definitivo dei canoni espressivi del Belcanto”. La storia degli amanti di Verona ha inchiostrato pagine di letteratura, poesia, novellistica, cinematografia e musicae forse in tutti riecheggia la celebre la tragedia di Shakespeare.
La guerra tra le famiglie Montecchi e Capuleti e l’amore contrastato dei due giovani Romeo e Giulietta, di opposte fazioni, sono la trama narrativa per il compiersi della storia con il noto finale tragico della morte dei due amanti. Il libretto di Romani,ambientato a Verona nel XII secolo,non ci racconta l’inizio dell’amore ma concentra il dramma dalla prospettiva dei Capuleti. L’apertura dell’opera è affidata ad un preludio e rapidamente ci troviamo catapultati nel dramma con l’arrivo del coro maschile, i neri armigeri, riunito da Cappellio, padre di Giulietta, interpretato dal tenore Leonardo Cortellazzi. Segue un concertato a quattro tra Cappellio, Tebaldo, il promesso sposo di Giulietta, il basso VasaStajkic, Lorenzo, medico e parente di Cappelio, il basso Christian Senn, e Adele madre di Giulietta, il soprano Paoletta Marrocu. C’è agitazione e preoccupazione per le nozze imposte tra Giulietta e Tebaldo. Arriva l’ambasciatore dei Montecchi e nessuno sa che è proprio Romeo, il contralto Raffaella Lupinacci, l’uccisore del figlio di Cappellio, che avanza la proposta di nozze tra membri delle due famiglie per suggellare la pace. Netto e tragico il rifiuto “Barriera eterna è posta, Tra noi di sangue, e non sarà mai tolta” e nel dramma si configura la tragedia con il coro ormai in assetto guerresco. La madre Adele entra con una lenta cavatina che ridimensiona il ferro e il fuoco, e lascia il tempo di preparare il duetto d’amore tra Romeo e Giulietta, aiutati dal fidato Lorenzo a incontrarsi, che si conclude con la promessa di amore eterno o morte. Scoperti gli amanti, si accellerano le nozze, Romeo vi partecipa e viene fermato nella fuga. Finale concitato del primo atto in cui prendono parte i personaggi tutti e il coro.
Il secondo atto si apre con Romeo che uccide Tebaldo e Cappellio che manda a morte sua figlia, ritenuta colpevole. Un’alternanza di colpi di scena, biglietti non pervenuti, morti apparenti, disperazioni, rimorsi si susseguono fino all’epilogo in cui Giulietta prende dall’ampolla fornita dal medico sodale, un veleno che la fa morire apparentemente, Romeo è ingannato da ciò che vede e si toglie la vita mentre per Giulietta rinvenuta è ormai tardi e si accascia sul corpo dell’amato, dopo aver tentato di uccidersi con la spada del padre. Intense e struggenti le due arie dei genitori Adele e Capellio all’inizio e alla fine dell’atto e la celebre aria di Rome “Ah se tu dormi”. Dopo l’edizione a Iesi del 1996, la rappresentazione martinese ha restituito piena leggibilità all’opera di Vaccaj che emerge in tutta la sua complessità per l’articolata scrittura di transizione tra la tradizione belcantistica e il melodramma ottocentesco. Da notare la parte maschile di Romeo affidata ad una donna, mezzo sopranile nella scrittura originale e qui interpretata da un contralto, che sostituisce la tradizione seicentesca del musico castrato con il contralto en travesti per finire in seguito al tenore. Ben osmotico il cast in cui svetta per pienezza, coloritura e filato costante il soprano Leonor Bonilla, Giulietta, fiorita nelle strutture verticali e risoluta nelle modulazioni. Romeo, Raffaella Lupinacci, convincente per il fraseggio nei duetti e nei concertati, risalta per interpretazione intensa e per trasporto mai tracimante in una fuorviante lettura saffica. Lorenzo, il basso Christian Senn ha affascinato nel duetto con Giulietta, nel secondo atto, per la tessitura armonizzante della voce, così come il tenore Leonardo Cortellazzi, Copellio, e Paoletta Marroccu, Adele,hanno tenuto la resa drammatica ed interpretativa che li vedeva contrapposti ma al contempo straziati genitori della figlia sfortunata. La musica riecheggiante suggestioni rossiniane e future intuizioni verdiane è stata eseguita dall’Orchestra Accademia Teatro alla Scala diretta molto virtuosisticamente dal maestro Sesto Quatrini, Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto da Corrado Casati. La regia affidata a Cecilia Ligorio ha avuto spunti molto efficaci nei dialoghi fuori scena con fermi immagine laterali suggestivi e resi tridimensionali grazie all’uso sapiente delle luci di Luciano Novelli. I costumi di Giuseppe Palella hanno confermato l’estro creativo e non prevedibile dell’alta sartoria teatrale con richiami rassicuranti verso la tradizione, si pensi alle citazioni da Visconti, e accelerazioni futuristiche soprattutto nel coro, svecchiato da impaludamenti cronologici e abbigliato con neri carapaci, bruciature da fuga post atomica e i mimi reinventati come lupi Capuleti e mute presenze scultoree.
Meno coraggiosa la scenografia di Alessia Colosso,di cui si apprezza la sostituzione del celebre balcone con un’alcova decorata a losanghe arabeggianti, tratte da affreschi di ascendenza padovana, in cui le luci radenti riportavano alla memoria interni ovattati di tanta pittura risorgimentale a lumeggiature traslucide. I due piani inclinati si dividevano tra merlature guelfe e una parete rigorosa.
Applausi copiosi e gradimento generale. Un altro successo del Festival della Valle d’Itria di Martina Franca.
“Con le ali leggere
Dell’amore ho sorvolato questi muri
Confini di pietra non posso tenere
Amore lontano, e ciò che amore può fare
Amore osa tentare”
Shakespeare, Romeo e Giulietta
Atto II, scena 2