Lecce, la silenziosa. Come piaceva ad Ercole Ugo d’Andrea

Piaceva così Lecce al poeta Ercole Ugo D’Andrea. Silenziosa. Come quando i suoi cittadini erano a messa o allo stadio ed era difficile trovarne anche uno solo in giro. Quasi come adesso, in tempi ben diversi

Sotto gli occhi dei suoi santi di pietra, bianchi nel sole, immobili da centinaia di anni nelle loro nicchie in cima alle chiese, impietriti nella luce primaverile che si insinua nelle pieghe di marmo dei loro mantelli, la domenica mattina Lecce è svuotata. Respira, perché la domenica “quando c’è la Messa e la partita, e quest’anno sali in serie A”, raccontava il poeta salentino Ercole Ugo D’Andrea, solo la polvere e il suono delle campane percorrono le sue strade, i suoi vicoli, le sue piazze.
In questo nostro tempo, ogni giorno assomiglia alla domenica, quando la gente non è per strada perché è alla Messa o alla partita, solo che ora la Messa non c’è, la partita nemmeno e la gente è a casa.

Lecce è vuota, come piaceva ad Ercole Ugo d’Andrea. Si può immaginare un viaggiatore solitario che arrivi a Lecce da chissà dove, forse da un’estrema lontananza, e che non abbia mai sentito la parola “covid”, che non sappia che per andarsene in giro occorre una mascherina, che non abbia mai guardato il telegiornale e che non abbia mai letto un giornale.

Sotto gli occhi dei suoi santi di pietra, bianchi nel sole, immobili da centinaia di anni nelle loro nicchie in cima alle chiese, impietriti nella luce primaverile che si insinua nelle pieghe di marmo dei loro mantelli, la domenica mattina Lecce è svuotata. Respira, perché la domenica “quando c’è la Messa e la partita, e quest’anno sali in serie A”, raccontava il poeta salentino Ercole Ugo D’Andrea, solo la polvere e il suono delle campane percorrono le sue strade, i suoi vicoli, le sue piazze.

Immaginiamo che questo viaggiatore si ritrovi a passare sotto Porta Napoli o Porta Rudiae e porti con sé, spiegazzata in tasca, la poesia di Ercole Ugo D’Andrea come mappa, una mappa che non insegna la strada, non informa sui nomi dei luoghi o delle chiese, non indica un percorso, non suggerisce un itinerario ma solo uno stato d’animo, una prospettiva, una sfumatura di sguardo. Si chiederà, il solitario viaggiatore, dove siano finiti tutti, perché la città sia così desolata. Però, dimenticherà questa domanda quando inizierà a guardarsi attorno, a scorgere i ritagli di cielo che si aprono dietro Santa Irene, dietro San Matteo, dietro il campanile del Duomo.

Ercole Ugo D’Andrea, ph. Rucco

E quell’unico viaggiatore scoprirà la profonda essenza di questa città, si riempirà gli occhi del bianco delle sue pietre, il suo cuore che viene da lontano perderà un battito nel trovarsi sulla destra, inaspettata, la piazza del Duomo, insenatura, golfo, porto sicuro, altra dimensione, rischiarata da un silenzio fatato anche quando le strade sono affollate, impregnata di atmosfera sacra che suscita riverenza.

All’ombra di Santa Croce riposerà i piedi stanchi, cercando di allontanarsi quel tanto che basta per poterla mirare nella sua interezza, con la testa piegata indietro nel tentativo di scorgere anche il punto più alto della sua facciata barocca.

Lecce con le sue scorciatoie, le sue feritoie, le sue fontane, i suoi vasi nelle terrazze, resterà impressa nei pensieri del viaggiatore, che sarà ormai lontano quando la gente tornerà per strada, e l’avrà vista come nessuno l’ha mai vista quando torneranno ad affollarsi le piazze, quando si tornerà a prendere il caffè al bar, quando riprenderanno i giri in bicicletta e si potrà stare come gatti assonnati nel sole sugli scalini di pietra di fronte a piazza Sant’Oronzo.

Nessuno l’avrà vista come l’ha vista lui. Se si vuole, però, la si può immaginare.



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