Borges raccontava di un uomo che si proponeva di disegnare il mondo. Alla fine dei suoi giorni, mettendo insieme tutti quei dipinti dei quali era stato il creatore, si accorgeva che quel labirinto di figure andava a tracciare l’immagine del suo volto. Se si mettono insieme i testi poetici contenuti in “Il verbo acerbo” (Interno Libri 2021) si avranno i volti dei “giocosi ragazzini che si sono trasformati in nobili verseggiatori” che ne sono gli autori: e per volti, in questa sede, si vuole intendere le identità liriche dei ragazzi di IB e ID della scuola secondaria di I grado dell’Istituto Comprensivo “Ammirato Falcone” di Lecce.
I componimenti poetici raccolti nel volume curato da Alessandro Macchia spalancano le porte di un immaginario che scaturisce da un’operazione di scrutamento interiore: è come se i ragazzi, poeti al mondo da undici anni, si fossero guardati dentro, come se fossero in possesso di una telecamera immaginaria e avessero deciso di girarla verso se stessi e dentro se stessi, dentro il proprio abisso, intenti a scovare qualcosa da trasformare in poesia.
Questo lavoro di produzione poetica, però, non è stato un brancolare solitario nella nebulosità della libertà incondizionata: dinanzi alla vertigine del foglio bianco, spiega Eva Grassi, una delle autrici, è come trovarsi a uscire, per la prima volta, da una caverna, un luogo confortevole in cui si è stati tutta la vita, con i sensi sopiti dall’umido buio della caverna. La luce acceca e non si sa che farne di tutti i rumori e gli odori e i suoni e i colori.
Serve che qualcuno ci prenda per mano e, a piccoli passi, ci guidi e ci insegni a riconoscere e a dare un nome a quello che i nostri occhi vedono, a quello che le nostre orecchie ascoltano. Per i ragazzi dell’”Ammirato Falcone” la guida è stata Alessandro Macchia – storico della musica, chitarrista, drammaturgo, conduttore di RAI Radio3 – , il loro insegnante di materie letterarie che ha strappato ciascuno di loro dal rischio di “incarcerare le emozioni in un simulacro”, di essere “risucchiato dalla banalità”, limitandosi a insegnar loro a divenire padroni della tecnica poetica che non è barriera ma canone, consapevole “forma di autogestione della pagina”.
Il risultato è più accecante del bagliore di quel sole visto per la prima volta uscendo dalla caverna: lasciati liberi nella scelta dei soggetti, i ragazzi si sono serviti della tecnica (dall’endecasillabo all’ottonario, dagli enjambement ai passaggi allitteranti, dal sonetto shakesperiano all’haiku) per esprimere immagini, sensazioni, sogni e memorie.
Così si hanno, per esempio, le poesie sul vento che è un folle che rende il mare violento e “parla agli alberi mettendo paura”, ma porta anche via i mali e “a chi stende i panni asciuga le maglie” ed è un’orchestra che fa danzare le foglie e sparge, sulla “terra inerte”, un odore aspro.
Poi c’è la morte, una morte che nasce da un immaginario di bambino e si adatta sulla pagina aleggiando fascinosa in componimenti che sembrano parte di una “Spoon River al contrario” – scrive Macchia nella Prefazione –, di voci che non vanno via dal mondo ma, al contrario appunto, per la prima volta ne prendono parte. E la Morte diviene “figura dal volto coperto”, misteriosa e potente, sconosciuta che fruga nella veglia e nei sogni, “demone cupo” che ghermisce gli uomini e non lascia in pace nemmeno gli eroi.
Poi, tra le pagine si affaccia una luna, di leopardiano bagliore, “riflesso del buio nel beato mare” che in un ossimoro che esplode “rovente” nel primo verso del componimento di Alessandro Lillo, si contrappone al “sole ghiacciato”. “Tu, luna”, e compare un tu anche in “Luce” di Giorgio d’Aprile, un tu che, chissà, è qualcuno di caro nel cuore dei poeti o, riflessi di loro stessi che sbarbagliano negli specchi della loro giovane coscienza.
E ancora striscia una rabbia che “ci rinchiude in una gabbia” ma che è pur sempre un’emozione umana che può trovare espressione nella poesia e, talvolta, i versi si popolano di incubi e di brividi che scuotono i corpi al delinearsi di figure come quelle di una “vecchia che canta sul dondolo” o di “un angelo ritrovato nel gelo”, immagini di enorme potenza che affiorano nel delirio di un dormiveglia che genera “mostri osceni”, un uccello che è invece una coccinella, o sono alieni o son saraceni?
Ma poi l’incubo finisce e compare una “luce soffusa/ di una candida sera/ gelida panca/ e umida stoffa” – in “Sotto il lampione” di Samuele Ferrari –, luce che diventa “di speranza” nel componimento di Giacomo Tornese ed è la luce di un’uguaglianza che aiuti a sistemare “tutte le cose rotte”, la speranza di una generazione che può davvero cambiare le cose, immaginare un “mondo che vorrei” – che compare nel titolo del componimento di Lorenzo Leone Leone – in cui “la violenza smette di ferire”, perché protetto da una social catena di bambini che lottano contro le ingiustizie. Dolcemente, poi, si scivola verso gli ultimi componimenti di intimistica tradizione, in cui compare un’emozione che – in “Piuma danzante” di Nicole Errico – “sradica da me qualsiasi buon germoglio” e stordisce il verso “tu sei profumata come un narciso”, di Mattia Mascialino, fiore che si schiude strabordando in schiuma d’onde che, nel componimento conclusivo, “narrano con voce onnisciente/una favola bianca e azzurra che erra/ fra l’antico pelago e l’acqua odierna”.
Il volume è arricchito dai disegni di Manuela Milena Fumarola che si inseriscono, finemente, tra le pagine a stimolare l’immaginazione del lettore.
La presentazione del libro
Si potrà assistere alla presentazione della raccolta Giovedì 10 giugno, alle ore 18.00, presso l’Istituto comprensivo “Ammirato Falcone”. Insieme a Bruna Morena e Alessandro Macchia interverranno Michele Emiliano (Presidente Regione Puglia), Sebastiano Leo (Assessore della Pubblica Istruzione Regione Puglia), Carlo Salvemini (Sindaco di Lecce), Fabiana Cicirillo (Assessore della Cultura e Pubblica Istruzione Comune di Lecce), Vincenzo Melilli (Dirigente Ufficio scolastico provinciale), Stefania Coti (Pedagogista), Andrea Cati (Editore), Manuela Milena Fumarola (Illustratrice e pedagogista).
Di questa generazione di nuovi poeti la scuola si fa guida delicata, mai ingombrante, mai oscurante, ma solo mano tesa a salvare dall’inciampo, che traccia, con dolce segno, un percorso d’espressione di una parola illuminata.