26 anni, attore di talento e giovane regista, Luigi Imola ha ottenuto un successo straordinario con la magnifica interpretazione nella fiction Rai ‘Il nostro Generale’ dove ha avuto il ruolo di Nando Dalla Chiesa, figlio dell’indimenticato Carlo Alberto ucciso da Cosa Nostra nel 1982 a Palermo.
Tanti i film, tante le apparizioni, dove è cresciuto e maturato sotto il profilo professionale, mentre oggi è alla guida di Azione Dramatic Arts, scuola di cinema con sede a Lecce.
Lo abbiamo incontrato prima delle prove di uno spettacolo.
Luigi, cosa ti rimane dopo la splendida interpretazione di Nando Dalla Chiesa nella fiction Rai con Sergio Castellitto?
Devo dire che per me è stata un’esperienza altamente formativa, come sappiamo purtroppo questo segmento della nostra storia italiana non è molto studiato e quindi resta sconosciuto a tanti, ma la cosa che più mi ha riguardato non è stato l’impatto storico della vicenda, bensì quello emotivo di una famiglia, quella del generale Dalla Chiesa, che sapeva vivere esperienze e prendere decisioni solo apparentemente tradizionali ma che io invece ho trovato molto attuali se non addirittura avanguardiste. Ecco perché ringrazio questa famiglia, perché se pur con risvolti tragici, le vicende vissute dai figli del generale mi hanno insegnato tanto, soprattutto come uomo.
Come è nato il tuo amore per il Cinema?
Posso dire a questo proposito che è nato con il Cinema. All’età di 17 anni ho visto per la prima volta Titanic di James Cameron e mi ha talmente colpito che mi sono detto ‘io queste cose che ho visto le voglio fare’, perciò come conseguenza mi sono iscritto ad una scuola di recitazione e ho cominciato la mia vita professionale.
E così sono arrivati i cortometraggi, le fiction TV, i film, ma tu non sei solo un attore dirigi anche una tua scuola per attori a Lecce…
Sì, io sono partito con il training che facevo con i miei compagni di corso, e così il mio insegnante mi ha spinto sempre più ad appropriarmi del ruolo con i più piccoli e ad aumentare il livello di responsabilità, successivamente si è consolidata in me la passione per l’insegnamento, ed è esattamente quello che faccio adesso con i ragazzi, insieme alla mia collaboratrice Cristel Caccetta, anche lei attrice e regista. Il nostro obiettivo è quello di una formazione completa di teatro e cinema.
Anche in periferia si può fare cinema allora…
Certo, io infatti vengo dalla periferia, perché sono di Frosinone e ho cominciato lì la mia attività, come tante persone che dalla mia stessa scuola sono venute fuori e ormai lavorano stabilmente in questo mondo. Poi chiaramente mi sono spostato e ho fatto tante cose prima a Roma e poi a Los Angeles. Lavorare in periferia è comunque molto entusiasmante, qui a Lecce si lavora su un ottimo materiale umano, c’è una cultura scoppiettante e vedo tante persone, giovani e bambini, appassionati di cinema, e alcuni di questi hanno già fatto diversi provini o lavorato come professionisti percependo un compenso.
C’è qualche personaggio del cinema che noi conosciamo con il quale ti sei trovato particolarmente bene o sei stato orgoglioso di averci lavorato insieme?
Beh, io ho avuto la fortuna di lavorare in diverse occasioni con Sergio Castellitto, e per me è stato veramente una scuola, perché Sergio è sorprendente e da lui ho imparato tanto, non perché mi abbia dato degli insegnamenti diretti, ma perché ho acquisito i segreti del mestiere nel vederlo all’opera, da lui ho capito come si sta sul set. Le cose più importanti però le ho comprese dopo, guardando il prodotto finito in TV, e lì tante cose erano frutto della sua creatività e del suo talento, quindi ‘Grazie Sergio’.
Chiudiamo parlando del tuo prossimo progetto…
Posso dire che stiamo preparando uno spettacolo teatrale scritto e diretto da Cristel Caccetta e ambientato durante l’Olocausto nella Seconda Guerra Mondiale. È una storia d’amore tra un ufficiale nazista e una ragazza ebrea in un campo di sterminio e che riprende i temi attualissimi della condizione della donna e del lockdown per via della pandemia, perché la donna ebrea verrà nascosta dal nazista che per salvarla dalla morte la terrà rinchiusa fino alla fine della guerra, senza che lei possa comprendere nulla di ciò che le accade intorno. Lo spettacolo si chiama ‘La casa delle bambole’.