Elezioni, Letta non si ricandida come segretario del Pd. E sulla sconfitta dà la colpa a Conte

Enrico Letta ha annunciato che non si ricandiderà alla guida del Partito Democratico dopo l’esito delle elezioni politiche, perse “per colpa di Conte”

Dopo il risultato non brillante ottenuto dal Partito Democratico alle elezioni politiche, Enrico Letta non si dimette, come qualcuno mormorava, ma annuncia durante l’attesa conferenza stampa post-voto che se ne andrà. Guiderà i dem fino al congresso, ma non si ricandiderà come segretario lasciando spazio, ha detto, alle nuove generazioni. Insomma, chi pensava che avesse le ore contate si è dovuto ricredere, fino a marzo (anche se è probabile un’accelerazione) Letta resterà al suo posto “come gesto d’amore”, per non lasciare il partito senza una guida in questi mesi difficili, per non abbandonare una nave che sembra sul punto di affondare.

Ma un’altra cosa del discorso ha ‘stupito’, anche dopo i commenti letti sulla débâcle alle urne e sulla possibilità di un riavvicinamento con Giuseppe Conte e il Movimento Cinque stelle, dato per morto e rinato sulle schede. Il numero uno del Nazareno ha ammesso la vittoria della destra ripetendo che è un giorno triste, come lo aveva definito la Serracchiani, ma non la “sconfitta” della sinistra. Nessuna parola su cosa sia andato storto, sugli errori commessi durante la campagna elettorale troppo concentrata sul pericolo del ritorno del fascismo, sul contrastare la destra, quella destra (o almeno in parte) con cui, è bene ricordarlo, ha governato.

La colpa di questo risultato, secondo il segretario, richiamato da Parigi al capezzale di un Pd in frantumi a inizio 2021, è dell’avvocato del popolo. «Se siamo arrivati al governo Meloni è per via del fatto che Giuseppe Conte ha fatto cadere Draghi». Insomma, è colpa del leader dei Cinque stelle se “ci aspettano giorni duri”.

Ne ha anche per Carlo Calenda, reo di essersi presentato da solo nel collegio di Roma centro, favorendo la vittoria della candidata del centrodestra, Lavinia Mennuni, a discapito di Emma Bonino che resterà fuori dal Parlamento. «Sono molto amareggiato per l’esito della candidatura di Emma Bonino, il fuoco amico di Calenda non lo ha permesso» sono le sue precise parole. L’unico accenno a colpe sue è quando dice che “quando si perde si è sempre soli”.

A congratularsi con la Meloni ci ha pensato Stefano Bonaccini, papabile successore di Letta. Indipendentemente dal risultato è una questione di ‘educazione’ anche in politica, di fair play democratico. Il governatore dell’Emilia Romagna è stato accusato di organizzare la successione a Letta per la quale sarebbe il principale candidato. Esperto, furbo, pragmatico, certamente Bonaccini avrebbe impostato la campagna elettorale in maniera diversa, regalando poco all’inutile ideologia e puntando sulle critiche ai programmi del centrodestra. I programmi, appunto. Non il programma. A dimostrazione che ci sarebbe stato lo spazio per mettere in risalto le contraddizioni. E nessuno più dell’ex presidente della Conferenza Stato-Regioni avrebbe saputo farlo.

A proposito di congratulazioni. Anche Di Maio, escluso dal Parlamento, ha ammesso la sconfitta e riservato parole ai suoi avversari. «Non ci sono se, ma o scuse da accampare. Abbiamo perso. Impegno civico non sarà in Parlamento. Allo stesso modo, non ci sarò neanche io» si legge in un post pubblicato su Facebook dal ministro degli Esteri che si è congratulato con Giorgia Meloni e Giuseppe Conte, a suo avviso i due vincitori di queste elezioni. “Auguro a tutti di trovare realizzazione e soddisfazione dai propri successi, non dalle sconfitte degli altri”.

“Nella vita ci sono vittorie e sconfitte. Si cade, ma si impara anche a rialzarsi. E succederà anche stavolta” ha concluso. Un mea culpa che il Segretario dem non ha fatto. Anche su questo bisognerebbe riflettere. In fondo basterebbe rispondere ad una semplice domanda: perché il Pd ha perso le elezioni?