L’editoriale di Leccenews24
Gli italiani hanno tanti pregi e per questo sono uno dei popoli più amati al mondo. Ma hanno due difetti che li rendono invisi a loro stessi poiché sono quanto di peggio ci possa essere: con la stessa facilità con cui saltano sul carro del vincitore sono altrettanto rapidi nell’abbandonare il comandante della nave quando questa si trova in cattive acque (e se non rischia di affondare lo deve solo ed esclusivamente alle manovre del nocchiero).
La regola vale alla perfezione e si applica con pervicacia matematica nelle vicende che stanno sconquassando Forza Italia all’indomani del voto per le Europee e per le amministrative in 29 comuni del Salento.
Di chi è la colpa se il partito, a parte l’exploit di Raffaele Fitto, ha fatto flop? Non c’è dubbio: sul banco degli imputati, in men che non si dica, è stato fatto salire Antonio Gabellone, coordinatore provinciale degli azzurri. Ora, è indubbio che chi ha responsabilità di gestione di un partito debba rispondere dei risultati e metterci la faccia. Non è solo la regola della politica, bensì della vita. Ciò detto, ad un’analisi un po’ più approfondita, però, diventa difficile pensare che le colpe della debacle forzista possano ricadere solo sul Presidente della Provincia che, fino a prova contraria, è obiettivamente considerato da più parti un amministratore serio, onesto e preparato che ha saputo tenere dritta la barra dell’ente e del partito in momenti difficili che hanno poco a che fare con il Salento.
Fino ad ora, la forza di Gabellone è stata soprattutto il suo modo di essere low-profile: dinanzi all’eccessivo protagonismo di tanti galli che battibeccano nel pollaio per dimostrare la propria forza, il farmacista di Tuglie è sembrata la persona giusta al posto giusto, l’uomo che con il suo modo di fare tipico dell’anti-protagonista è stato in grado di non attrarre su di sé il fuoco amico che è da sempre il primo avversario con cui bisogna fare i conti quando si fa politica nel sud dell’Italia e nel sud della Puglia. Quando Fitto lo scelse come presidente della Provincia in molti si chiesero chi era e in tanti nel suo partito dovettero mettere in disparte l’ambizione di succedere a Pellegrino. Ma proprio perché Gabellone era Gabellone, quasi un tecnico (gli avversari gli davano del ragioniere) a dispetto del protagonismo politico di tanti in Forza Italia, al partito di Fitto è riuscito di inanellare vittorie e buone prestazioni elettorali. FI paga non certo gli errori di Gabellone quanto piuttosto il mancato ricambio generazionale a livello nazionale e lo scarso impegno, dati alla mano, di tanti amministratori di Lecce e del Salento, che hanno svolto il compitino per paura di Fitto ma si sono spesi poco nella campagna elettorale per convincere i cittadini ad andare a votare.
L’analisi del voto di Elisabetta Gualmini dimostra, in maniera inequivocabile, che non c’è stato un travaso di voti da Forza Italia al Pd e al M5S. Forza Italia è tracollata perché la maggioranza degli italiani che non sono andati a votare precedentemente rappresentavano l’elettorato attivo di Berlusconi. Non sono stati mobilitati, non sono stati convinti, in Italia e nel Salento. Ma la colpa non può essere di chi un giorno sì e l’altro pure deve perdere tempo a far quadrare il bilancio delle aspirazioni politiche di una classe dirigente che chiede più di quanto dà o per lo meno pretende una visibilità che i posti di governo e sottogoverno a disposizione non consentono di dare.
A noi pare che Gabellone abbia, invece, proseguito da un lato nella buona sequela di amministratori provinciali e dall’altro, per doti caratteriali, non abbia fatto deflagrare ancora di più i malumori presenti in un partito che da Roma a Lecce è malato di leaderismo. A tutti i livelli, anche quelli più periferici.
I risultati li fa la squadra. Un capitano, anche se fuoriclasse, non può alterare più di tanto le posizioni della classifica.