La rottamazione è meritocrazia e la meritocrazia non è di sinistra. L’editoriale di Enrico Mauro

Alla redazione di Leccenews24 scrive Enrico Mauro, ricercatore di diritto aministrativo presso l’Università del Salento e propone una propria riflessione politica ispirata dai tempi più recenti.

L’attuale Presidente del Consiglio, come tutti sanno, è un rottamatore. La sua scalata alla segreteria del partito e al Governo è avvenuta all’insegna dell’ideologia rottamatoria: via la vecchia classe dirigente di partito e di Governo e largo a una nuova, più fresca, intraprendente, veloce. Il Presidente è a tal punto persuaso della bontà dell’ideologia rottamatoria che ha promesso di autorottamarsi — di lasciare non solo il Governo ma la politica — in caso di vittoria del «no» al referendum costituzionale. La Ministra Boschi, altra rottamatrice convinta, ha promesso altrettanto. Naturalmente non ci crede nessuno: mantenere le promesse non è, in questi tempi, virtù da politici.
 
L’ideologia rottamatoria è una versione giovanilistica dell’ideologia meritocratica. Giovanilistica perché fa dell’esser giovani, freschi e frizzanti il merito, la virtù basilare. E già qui si potrebbe obiettare: essere giovani e freschi è questione di virtù o di calendario? E poi: chi ha deciso che essere giovani e freschi sia più importante, per esempio ai fini del governo della cosa pubblica, che essere sapienti, saggi, ricchi di esperienza e di memoria?
 
Ma gli argomenti spendibili contro la meritocrazia in generale sono molti. Vediamone in breve alcuni.
Per cominciare, il vocabolo è stato coniato in un libro del 1958 da Michael Young, sociologo e politico laburista britannico deceduto nel 2002. Il libro del 1958 era una feroce satira contro la società meritocratica, accusata di abolire privilegi e gerarchie per crearne di nuovi e peggiori, accusata di creare nuove e sempre più intollerabili disparità tra presunti meritevoli e presunti immeritevoli. Ma Tony Blair (Premier laburista britannico dal 1997 al 2007), Renzi e tanti altri hanno ingenuamente pensato che la meritocrazia fosse un sistema di valori, un’etica politica. Pochi mesi prima di morire Young dovette pubblicare un articolo (www.theguardian.com, 29 giugno 2001) in cui chiese a Blair di smettere di riempirsi la bocca di «meritocrazia», per di più intendendola nell’accezione opposta a quella in cui l’aveva intesa chi aveva coniato il vocabolo: lo accusò di non aver letto il libro e di fare una politica di destra sotto la bandiera meritocratica.

In secondo luogo, «merito» e «meritocrazia» non sono affatto sinonimi, anzi. La Costituzione italiana promuove il merito tramite i concorsi per borse di studio, pubblica amministrazione e magistratura, ma per il resto è tutt’altro che una Costituzione meritocratica: si preoccupa principalmente dei deboli, dei bisognosi, degli esclusi, degli ultimi. Se per godere del diritto allo studio occorre essere sia bisognosi che meritevoli, non è così per i diritti all’assistenza sanitaria e sociale: è sufficiente essere malati, disabili, bisognosi. Dunque un conto è il merito, un conto la meritocrazia. Esattamente come un conto sono i partiti, che vorremmo vedere risorgere, un conto è la partitocrazia, che vorremmo vedere tramontare, oppure un conto è la televisione, che ci piace (sempre meno) guardare, un altro la telecrazia, ossia il dominio dei corpi e delle anime attraverso la televisione.

In terzo luogo, persino i tonti hanno ormai capito che la meritocrazia è un paravento per coprire i tagli finanziari più vergognosi, a cominciare da quelli all’università, il comparto della pubblica amministrazione più sacrificato dall’era tremontiana a oggi: mentre l’università italiana veniva definanziata per circa il 20%, quella tedesca veniva ulteriormente finanziata per oltre il 20%. Poi ci domandiamo perché formiamo con soldi nostri cervelli che vanno a fare ricerca all’estero! E perché i cervelli non rientrino! Semmai il mistero è come mai ci siano ancora cervelli da queste parti!
 
In quarto luogo, nessuno dei membri della setta meritocratica ha mai tentato di chiarire a che cosa siano destinati i ‘perdenti’ nella società meritocratica. Posto che pochi o pochissimi possono essere eccellenti, che facciamo del restante 90 o 99% della popolazione? Buttiamo tutti giù da una rupe? Chiudiamo tutti in strutture per ‘falliti’?
 
Può mai essere di sinistra un’ideologia o un programma di governo che si preoccupa principalmente di individuare e allevare eccellenze e si preoccupa poco o per nulla di tutti gli altri? Esiste un incubo peggiore? Questo sarebbe un programma di sinistra? No di certo, per quanto ‘sinistro’!

Infine, ma solo per ragioni di spazio, la retorica meritocratica vorrebbe farci credere che, qualora gli allievi superino i maestri, i maestri debbano spontaneamente farsi da parte, altrimenti sarebbe giusto accantonarli, rottamarli appunto: largo ai giovani e gli anziani al parco a dare da mangiare ai piccioni. Ora, a parte il fatto che tutti si diventa anziani e che diventare anziani non è un demerito, così come non è un merito essere giovani, i meritocratici non tengono presente che, se l’allievo qualche volta supera il maestro, il merito può essere, almeno in parte, del maestro. In altri termini, che l’allievo superi il maestro può essere la prova che il maestro è bravo e quindi deve essere lasciato al suo posto, dove potrà coltivare altri allievi in grado di superarlo.
 
Non è affatto detto, invece, che l’allievo che ha superato il maestro diventi a sua volta un bravo maestro. Magari diventerà solo un maestro saccente, presuntuoso ed esibizionista, capace di vendere tappeti a chi è allergico alla polvere, ma incapace di trasmettere il proprio sapere e la propria esperienza.
 
di Enrico Mauro



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