Mafia Capitale, politica ed etica della responsabilitÃ

Prosegue il dibattito sull’inchiesta che ha sconvolto il mondo della politica nella Capitale d’Italia. L’editoriale di Giacomo Fronzi, Coordinatore provinciale di SinistraDem e Segretario del Partito Democratico di Trepuzzi.

L’inchiesta “Mafia Capitale” inchioda la politica alle proprie responsabilità, che tutti devono essere pronti ad assumersi, anche coloro che sono e si sentono distanti anni luce dalle gravissime dinamiche che hanno permeato alcuni settori del mondo politico-amministrativo capitolino.

La responsabilità che ciascuno di noi deve sentire, in fondo, dovrebbe essere considerata una condizione preliminare a qualsiasi impegno politico e civile, oltre che, ovviamente, professionale. Per chi si presenta come catalizzatore e concretizzatore di bisogni collettivi, la responsabilità dovrebbe rinviare semplicemente a una scelta operata prima ancora dell’assunzione di qualsivoglia impegno.
Responsabilità dovrebbe allora essere intesa nel senso di “etica della responsabilità” per come la definisce Max Weber nel celebre saggio La politica come professione, vale a dire come l’etica che deve contraddistinguere chi «vuole mettere le mani negli ingranaggi della storia».

Quanto di tutto ciò è presente in maniera diffusa e capillare nel sistema politico, amministrativo e burocratico italiano? È qualcosa che percepiamo come centrale e impalpabile al contempo, qualcosa a cui tutti ci appelliamo, ma che in misura minore viene realmente praticata. Non c’è scelta politica e amministrativa che non venga fermamente posta sotto il cappello protettivo e a larghe falde della “responsabilità” e, ben inteso, si tratta di un richiamo a cui non si deve mai derogare. Il problema sorge nel momento in cui a questa dichiarazione d’intenti non corrisponde una pratica della responsabilità, che passa anche per una più trasparente gestione dei denari che inevitabilmente la politica si trova ad amministrare. Non può esservi attività politica senza risorse economiche, oltre che umane. Subentrando l’elemento monetario, entra in scena la dimensione affaristica a cui si è tentato di rispondere, per quel che riguarda i partiti, con l’abolizione del loro finanziamento pubblico. Questa abolizione – pensata come immediata e neanche troppo simbolica risposta ai cittadini, resi spettatori di un diffuso malaffare legato all’utilizzo di soldi pubblici – ha sollevato più di qualche perplessità.

Personalmente, ho considerato questa soluzione una potenziale premessa all’emergere di un male ancora peggiore di quello che si voleva estirpare. Alla luce dei recenti scandali romani, lombardi e veneti, verrebbe allora da chiedersi – come ha recentemente fatto Gianni Cuperlo – se abolendo il finanziamento pubblico dei partiti abbiamo fatto la scelta migliore. Forse si sono sottovalutate le conseguenze dell’aver affrontato la questione (morale) dell’intreccio tra politica e affari ricorrendo a essa. Probabilmente sarebbe stato più utile ed efficace rivedere e rimodulare i meccanismi di gestione del finanziamento pubblico, salvaguardando al massimo trasparenza, legalità e onestà, per evitare di avere a che fare sempre con lo stesso problema, dalle radici millenarie: la corruzione.

In un volume pubblicato nel 1970, Political corruption, il suo curatore, A.J. Heidenheimer propone una triplice categorizzazione della “corruzione”, partendo dall’idea che la corruzione è determinata dal giudizio che opinione pubblica, da una parte, e classe politica/burocratica, dall’altra, danno di un dato atto. Si ha la “corruzione nera” quando le parti convergono sulla repressione di un atto, inteso da ambedue come corrotto. Quando, invece, pur convergendo sull’idea che quell’atto è corrotto, sia l’opinione pubblica che la classe politica decidono di non sanzionarlo, siamo in presenza di una “corruzione bianca”. Abbiamo, poi, un livello intermedio, il più pericoloso, quello della “corruzione grigia”, che si ha quando soltanto una delle due parti giudica un atto corrotto e da reprimere. Secondo Heidenheimer è questa la forma peggiore di corruzione, giacché essa pone in conflitto le due parti. Ed è proprio questo il conflitto che la buona politica, a tutti i livelli, deve riuscire a evitare.
“Mafia Capitale”, naturalmente, non va assunta come modello negativo della politica italiana tout-court, né come strumentale mezzo per colpire un’intera classe politica o un intero gruppo di politici, indistintamente, ma come ennesimo preoccupante campanello d’allarme sicuramente sì.

Vale la pena, allora, ribadire con forza che è possibile fare politica in modo diverso e che ci sono migliaia di militanti, dirigenti di partito e amministratori che vivono il proprio impegno all’insegna di quell’“etica delle responsabilità” a cui sopra ci siamo richiamati. Chi fa proprio un profondo e radicato senso di responsabilità, allora, non potrà che concepire la politica come qualcosa che penetra la carne viva, ma lacerata, della società, non per risucchiarne le residue energie vitali, quanto invece per migliorarne e potenziarne le condizioni, appunto, con responsabilità.

Giacomo Fronzi
Coordinatore Provinciale SinistraDem;  Segretario Pd Trepuzzi



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