Per favore, basta con la retorica dell’8 marzo, basta con la retorica del sesso femminile prostrato e sfruttato. Basta con la retorica della donna in perenne affanno per conquistare il suo posto nel mondo. Ovunque mi giri vedo donne sul lavoro in gamba e preparate che non hanno bisogno di alcuna tutela da riserva indiana, persone determinate che quasi sempre più degli uomini sanno cosa vogliono e come ottenerlo.
Sembra una favola ottocentesca quella della donna accartocciata su se stessa che deve superare mille ostacoli per raggiungere ciò che le spetta. Non c’è attività professionale, invece, in cui le donne non superino per quantità e qualità i loro competitor di sesso maschile. Il problema è perciò un altro ed è, quella sì, la vera sfida, ossia la conciliazione tra i tempi, i ritmi, i bisogni della famiglia e i tempi, i ritmi e i bisogni del lavoro. Tutto ciò a scapito di un tempo libero che al rosa non è mai declinato.
Questa è la questione, non altre. Tanto meno quella vergognosa delle quote rosa in cui in questi giorni si discute in Parlamento. Il fatto è che la donna, in famiglia ha un ruolo non sostituibile. Può trovarsi accanto il compagno più presente e servizievole disposto a compiere più della metà dei lavori domestici: non basta!
La figura della donna che detta i tempi tra le mura domestiche è e sarà sempre unica e necessaria. I figli non dicono soltanto “mamma” come prima parola del loro vocabolario. Quando la notte si svegliano in preda a qualsiasi dolore o problema la prima persona che chiamano è “mamma” certamente non “papà” anche se lo trovano accanto nel letto matrimoniale. Non è solo una questione culturale, mi verrebbe da dire che è quasi genetica. Il ruolo della donna-mamma, bisogna avere il coraggio di dirlo, è insostituibile in famiglia.
Pensare che i tempi della famiglia possano piegarsi a quelli del lavoro è difficile, quasi impossibile. Bisogna favorire la conciliazione, sostenerla, supportarla, ma bisogna essere consapevoli dei suoi limiti endemici. C’è un momento in cui la famiglia reclama la donna, e non c’è lavoro che tenga. Ma questo è il privilegio non la dannazione del nascere femmina. Sempre che al ruolo della famiglia si voglia dare il senso ed il valore che nella nostra tradizione abbiamo voluto e desiderato dare. Altri sistemi esistono, ma non sono modelli vincenti a cui ispirarci, sono invece sistemi di organizzazione familiare che dovremmo tenere ben alla larga dai nostri.
Ma per le giovani signore e signorine che non hanno famiglia e che si affacciano al mondo del lavoro non c’è discriminazione alcuna. C’è, a mio avviso, la consapevolezza di una dinamicità e di una complessità d’azione che gli uomini non hanno. Continuare nel piagnisteo a-storico è sbagliato, per certi versi, inutile.
Altra questione – ecco perché non bisogna mai mettere tutto in un calderone – è quella della violenza che purtroppo sempre più si respira nelle famiglie in cui i soggetti fisicamente più deboli, donne e bambini, sono vittime dei soggetti fisicamente più forti, i maschi. Ma attenzione, stiamo parlando di una forza fisica. Perché è del tutto evidente che negli episodi di violenza sono i soggetti psicologicamente più deboli e squilibrati che si accaniscono contro quelli più forti con i quali non riescono a rapportarsi con e per il loro ruolo.
Ma poi le questioni si incrociano e si intersecano. Più è debole la famiglia, più sfilacciato il tessuto sociale, più si radicano comportamenti violenti. Ed è il tema del lavoro e quello dei servizi sociali che prende forma e consistenza. Delle riserve indiane non sappiamo che cosa farcene.